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Celebration, la brutta copia di tale e quale

Lo show del sabato sera di Raiuno

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Attenti a quei due Foto: Attenti a quei due
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Serena Rossi -che canti Nannini, Bertè o i Queen- è la nuova, luminosa Loretta Goggi. Ma questo, onestamente, lo sapevamo. Nerì Marcorè sa recitare con la tenerezza di Alighiero Noschese, e intona da dio qualsiasi brano, dai Blues Brothers alle sigle dei cartoni giapponesi. Ma anche questo era cosa nota. E la conduzione dei due suddetti, bravi artisti è la vera sicurezza di Celebration. Ma è anche l'unica sicurezza. Perchè, a parte gli ascolti che si schiantano -11.30% di share- contro la corazzata Tu si que vales (comunque peggiore, per qualità) il nuovo show del sabato sera di Raiuno vagola sul pentagramma, tra dialoghi monchi e sorrisi tirati, alla ricerca di una sua identità. Celebration non è un varietà. Trattasi più del simulacro d'un desiderio canoro collettivo, un patchwork di nostalgie che si susseguono per il pubblico consolidato di Sanremo e affini. E poi è troppo facile. È troppo facile imbrancare un drappello di superstar italiche della canzone; e buttarle, una dopo l'altra a ritmo giapponese, sulle cover più popolari del mondo. Intendiamoci. Io venivo risucchiato da un vorticoso effetto karaoke, mentre Fausto Leali cantava Battisti («è attualissimo») e i Procol Harum in lingua originale; o mentre Curreri cantava Morandi ; o mentre Paola Turci cantava Patti Smith o Ruggeri Lou Reed («Il primo a dare dignità al disagio sociale»), o Pelù i Rolling Stones. O mentre, addirittura, Brizzi strimpellava Santana. Io, lo confesso, karaokeggiavo. E ascoltavo, anche con un discreto interesse, il collega Ernesto Assante il quale, neanche fosse Dario Salvatori, battuteggiava su Vasco; citava gli indimenticati Shampoo, i Beatles napoletani; o evocava Springsteen nell'atto di buttare nel cestino la sua Because The Night, poi raccolta da Patti Smith. Ma mentre ascoltavo con interesse, non trovavo davvero il filo del racconto. Mi era sempre più oscuro il guizzo creativo, la diversa chiave interpretativa che poteva fare di Celebration un qualcosa di più che un banalotto, seppur lussureggiante, programma di cover. Celebration è Tale e quale senza la parte degli alti ascolti, del trucco e dell'autoironia. A 'sto punto meglio l'originale...

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