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Adrian, ovvero quando l'ego di Celentano diventa un rito televisivo

Quel che non va nel cartoon

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Il teatro Camploy di Verona -lo dico per conoscenza diretta- fa brillare i talenti come bombe a tempo. Celentano è un ordigno a tempo semovente (ti aspetti sempre che scoppi, ma non lo fa mai…) Sarà per questo che Aspettando Adrian, l'anteprima con attori in carne e ossa di Adrian, il cartoon metafisico di Adriano Celentano che incontra il suo ego, mandato in onda dal palco veronese in prima serata -preannunciato da un'aura messianica- su Canale 5, ha accarezzato gli ascolti con 5,997 milioni di telespettatori, con share del 21,9%. Peccato, però, che il vero evento della serata avrebbe dovuto essere proprio il cartone griffato da Milo Manara, il più noto disegnatore italiano vivente coadiuvato da montatori veneti e da una flotta di manovali cinesi. E, nella guerra degli ascolti, il cartoon ha toccato il 19% di share; ed è finita che la serata l'ha vinta La compagnia del cigno, fiction di culto di Raiuno. Orwelliano, ambientato in una Milano del 2068 dominata da oligarchi nazistoidi strappati un po' al Grande dittatore di Chaplin, un po' ai film fantascientifici V per vendetta e Minority Report, gonfio di retorica anticapitalista, intasato di facce patibolari e grattacieli ritti come lapidi: Adrian non è un capolavoro, ma neppure una chiavica come lo descrive il popolo dei maniaci del web. Anche se sulla parte tecnica e sull'uso del motion capture e sulle casette ad acquarello e sui cavalli disegnati in modo tutt'altro che equino, be', ci sarebbe da aprire un dibattito ma non è questa la sede-  Adrian, a conti fatti, è un prodottino -diciamo- di medio cabotaggio che sta nel mazzo; ma ciò è bastato per attizzare la solita valanga di critiche. Critiche che Celentano, come fa da trent'anni a questa parte, ora cavalca con ingenua perizia. Eppure il cartoon ha sobillato istinti bassi e trasversali. C'è chi lo ritiene un afflato voyeuristico: giusto la scusa per ammirare le chiappe nude e tornite delle donnine di Manara (“l'orologiaio”, il giovane Celentano protagonista, si ritrova a lombi scoperti, avvinghiato in disinvolti kamasutra con femmine incantate ogni quindici minuti). C'è chi individua nella descrizione futuristica di Napoli -con palazzi intitolati alla “Mafia International” e “grattacieli nell'acqua che avanzavano sul mare come mostri assetati di sangue…”- un'astuta forma di razzismo antimeridionale. Che un po' fa ridere. C'è chi insinua che la parte di show dal vivo del programma sia finita con quasi un'ora di anticipo dato che grandi ospiti, dalla Hunziker a Teocoli, ad Ambra Angiolini avevano defezionato all'ultimo così, senza un perché. Una sensazione di imbarazzo diffuso, insomma. Che, di fatto, trova giustificazione soltanto nell'anteprima dello spettacolo, appunto, quella diretta e direttamente ispirata dalla “prima Bibbia letteraria di Adriano Celentano” qualunque cosa la suddetta espressione significhi. Ecco, in quel segmento di spettacolo l'orchite ha raggiunto livelli siderali. Tutto il canovaccio era lividamente surreale: l'abusata scenografia col tavolaccio, da cui stavolta spuntavano due frati (tra cui Frassica non in formissima) che richiamavano un vecchio sketch di Celentano e Don Backy, I due fraticelli; e l'accesso della gente comune a una misteriosa “Arca di Noè” raffigurata sullo sfondo; e le battute senza né capo né coda che erano sottilmente ispirate alle vecchie scenette di Totò e Peppino ma ci fosse uno che l'abbia capito. Infine, l'apparizione. Ecco Adriano che si appalesa in felpone e ciabatte; e rimbrotta qualcosa, non si capisce bene cosa, ma lo dice senz'altro in un modo solenne sennò il pubblico non avrebbe sprecato le standing ovation come in uno dei vecchi comizi grillini cui il Moleggiato recentemente pare ispirarsi. La serata è iniziata col dubbio ed è finita nell'inconsistenza. Nulla di nuovo, insomma, per quel che attiene Adriano in tv…                      

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