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Intervista a Josè Altafini: "Vi svelo perché il calcio e la tv mi hanno messo in panchina"

Giulio Bucchi
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«Amisciii che gooooolassssso!!!». Già, i più giovani lo ricordano così - inconfondibile seconda voce dall'accento brasileiro nelle telecronache di calcio a Telemontecarlo, Telepiù e Sky -, ma noi un po' più anzianotti abbiamo impresse nella memoria anche le sue corse, i tiri e soprattutto i gol con Milan, Napoli e Juve. Tanti, tantissimi: 216 in 458 partite di serie A e 295 in totale. E poi i trofei. Quattro scudetti (due al Milan e due alla Juve), una Coppa dei Campioni (Milan), una Coppa delle Alpi (Napoli) e un campionato del mondo con la nazionale brasiliana (con l'Italia, come oriundo, 6 presenze e 5 gol). Josè Altafini detto Mazola (sì, con una zeta sola: lo chiamavano così in Brasile a inizio carriera) è una leggenda del football mondiale e ha 78 anni, ma nella vita corre ancora come un ragazzino. E si racconta - freneticamente - tra aneddoti, ricordi e progetti. Cosa fa Altafini ad Alessandria?  «Sono finito a vivere qui grazie all'amico Flavio Tonetto, grande appassionato di calcio. Lo aiuto nella sua azienda di abbigliamento, l'Outlet Bon Bon. Perché dopo che mi sono licenziato da Sky...». Stop. Affrontiamo subito l'argomento tv.  «Alessandro, ti devo dire che il mondo della tv è come quello del calcio: va avanti solo chi è raccomandato. A Sky improvvisamente mi hanno messo a commentare partite minori, mi sono visto passare davanti altri». Che non le piacciono.  «Quando sento alcune seconde voci abbasso il volume. Non potrebbero nemmeno allacciarmi le scarpe, il migliore resto io». Qualcuno che la convince c'è?  «Bergomi e Di Gennaro. Ma anche Onofri». Nessuno però è sfrontato come lo era lei. A proposito, dove è nato il famoso gooooolassssso?  «È un modo sudamericano di chiamare un supergol». Scusi, perché ride?  «Dopo le prime volte che lo dicevo a Telemontecarlo telefona uno spettatore: "Ma come si permette quello lì di dire parolacce?". Ahahah. Volevo spiegarti una cosa, Alessandro. Il problema è che il mondo del pallone è poco abituato a scherzare. Io invece ho sempre amato i giornalisti di talento e ironia come il grande Beppe Viola». Parliamo di calcio. Lo guarda?  «Seleziono. Se è una partita di merda, no». Saltiamo la domanda scudetto...  «Sì, la Juve è troppo forte». Le squadre che più le piacciono?  «Napoli, Milan, Inter e Roma». E l'Atalanta? «Ti devo dire una cosa. L'Atalanta è un esempio, il football italiano deve partire dall'Atalanta». Josè, domanda scomoda: perché lei nel calcio non fa più nulla?  «Maldini, Bergomi, Zaccarelli, Del Piero: loro, come me, sono rimasti fuori e sa perché? Perché siamo di personalità e offuscheremmo i presidenti. Il calcio è stato rovinato dalle S.p.a.». Altafini, però la gente la ama.  «Mi fermano ovunque e sono sempre disponibile, a parte al ristorante». Scusi, perché?  «Se mi sono appena lavato le mani odio dover stringere quella di uno sconosciuto. Così, con una finta di corpo, devio in un abbraccio». Già, perché è ancora in forma.  «Di testa ho 35 anni e sono sempre in movimento: lavoro per Italgreen, l'azienda che produce campi sintetici. Sono appena stato in Brasile». Torniamoci insieme in Sudamerica, ma viaggiando all'indietro nel tempo. Quando nasce il baby Josè? «Il 24 luglio 1938. Bambino vivace che odia la scuola e ama il calcio. Gioco a piedi nudi per strada con la pallina da tennis. Le prime scarpe le recupero in una pattumiera». Quando una squadra vera?  «C'è un provino al Palmeiras, mi sveglio alle 4 e ci vado in pullman. Mi prendono e ho il primo contratto». Il 29 gennaio del 1965 esordisce tra i grandi. Segna, diventa per tutti Mazola per la somiglianza con Valentino Mazzola ed è il più giovane marcatore della storia del club.  «Non è l'unico record. Col Noroeste segno 5 reti e poi una doppietta contro il Santos di Pelè nella partita del secondo; perdevamo 5-1, abbiamo rimontato fino al 6-5 ed è finita 7-6. Due tifosi sono morti d'infarto».   Pelè: parliamone.  «Prima ti devo dire una cosa Alessandro. È uscito da poco il film della sua vita e ci sono io. Mi interpretano come arrogante e classista, dicono che la mamma di Pelè faceva la cameriera a casa mia. Tutte balle». Scendiamo in campo.  «Partita contro l'Argentina, il nostro attacco è tutto paulista. Zero a Zero, cross da sinistra, stoppo. Carico il tiro e la palla finisce in rete. Poi capisco: era arrivato Pelè da dietro e mi aveva preceduto. Velocissimo». Che tipo era?  «Simpatico. Più giovane di età, ma più vecchio di testa».   Restiamo in nazionale. Mondiali del 1958.  «Ventisette ore di viaggio con un aereo a quattro motori sgangherato e mille scali. Posti stretti, scarpe in mano e gambe gonfie». Chissà che paura...  «Il portiere Moacis, terrorizzato, si porta tre bottiglie di cachaca e se le beve da solo. Arriverà ubriaco». I Mondiali però li vincete: lei segna una doppietta all'esordio e Pelè si fa conoscere nel mondo.  «Soprattutto per l'età. Il vero fenomeno che ci fa trionfare è Garrincha, è lui che apre le difese con le finte». E con una gamba più corta.  «Non è vero. Aveva le gambe uguali ma storte nello stesso lato, come due parentesi chiuse: colpa della madre che da bambino l'aveva tenuto troppo in braccio». Premio per il titolo mondiale? Diventate ricchi?  «Un televisore a colori: nel senso che esternamente era colorato». Buona questa. E basta?  «Una bici, un orologio e un terreno nel Pantanal sul quale era impossibile edificare perché pieno di coccodrilli. Dopo un po' leggo che ci spetta anche un frigo, allora mando mio zio a ritiralo. Era una borsa frigo...». Nel '58 viene ceduto al Milan.  «Ma prima viene a vedermi la Roma. L'osservatore è in tribuna, segno due volte e dopo ogni gol, per esultare, mi butto a terra. Quando lo chiamano dalla Capitale per chiedere come ho giocato, quel tizio risponde: “È bravo, ma epilettico”». Incredibile. E la scartano?  «No, mi comprano lo stesso per 130 milioni. Appena la notizia viene data al tg, però, il Milan si fa avanti e ne offre 135. E divento rossonero». Esordisce a 20 anni e fa in tempo a giocare con Liedholm.  «Lui ha 36 anni, l'avevo incontrato ai Mondiali. Bravissimo. Mi insegna a tirare di sinistro». Nel derby segna 4 gol: altro record che resiste. Nella stagione 61-62 diventa capocannoniere con 22 reti. Allenatore Nereo Rocco.  «Amichevole a Lione, vinciamo 4-0 e a pochi minuti dalla fine lui urla: “Indrìo, indrìo”. Un po' difensivista...». Ci sono tanti aneddoti sul Paron. Ne scelga tre.  «Trasferta in Francia, scendiamo dal treno e un dirigente avversario lo accoglie: “Monsieur Rocco, mon ami”. E lui: “Mona a mi? Mona a ti e anca testa de gran casso!”». Secondo.  «Ti racconto questa. In quel periodo ci convoca sempre la mattina per andare a pranzo nella sua trattoria preferita. Un giorno nell'allenamento del pomeriggio dice: “Ora saltè de testa per il lato lungo del campo, camminè nel corto e tornate qui”. Lo facciamo. “Ora saltè de testa per il lato lungo del campo, camminè nel corto e tornate qui”. Lo rifacciamo. “Ora saltè de testa per il lato lungo del campo, camminè nel corto e tornate qui”. Maldini lo guarda e, tartagliando: “Pa-pa-paron, ga po-poca fantasia oggi…”. E lui: “Maledetto vino bianco”». Terzo.  «Decidiamo di fare uno scherzo a Rocco, che si cambia nel nostro spogliatoio. Mi infilo nel suo armadietto e quando apre gli urlo: “Bauuuu”. Fa un salto, si spaventa, e me ne dice di tutti i colori. L'anno dopo al suo posto arriva Liedholm e gli rifacciamo lo stesso scherzo. Il Barone apre, provo a spaventarlo e lui, pacatissimo: “Ma Josèèèè, guarda che questooo non è tuo armadiettooo”». Meraviglioso. In quegli anni però il suo rapporto con Gipo Viani non è facile. La definisce coniglio.  «Coppa Intercontinentale del 1963 contro il Santos. Vinciamo 4-2 a San Siro, ma là si mette male. Giochiamo in difesa, io sono solo davanti e non la prendo mai, perdiamo 4-2. Nicolò Carosio in diretta dice una stupidata inutile: “Milan in difesa, Altafini non si vede”. In Italia intervistano Viani, che spiega: “Abbiamo perso per colpa di quel coniglio di Altafini”». Con il Milan, in sette stagioni, vince due scudetti e la Coppa Campioni del 1962-63 segnando una doppietta in finale a Wembley contro il Benfica. Perché quel sorriso?  «Alessandro, ti devo spiegare una cosa. Sai perché amavo il contropiede? Perché mi ricordava quando, da ragazzo, andavo a rubare le arance: scappavo correndo il più veloce possibile per non farmi raggiungere dal proprietario. Come a Wembley». Nel Milan si innamora di Annamaria Galli, allora compagna del suo compagno di squadra Barison. Che poi sposerà nel 1973 e che attualmente vive ancora con lei. Fu uno scandalo.  «Per quegli anni era qualcosa di impensabile. Abbiamo avuto il coraggio di vivere la nostra storia senza nasconderci e ci siamo sposati dopo la morte della mia ex moglie e di Barison». Nel 1965 lascia il Milan e va a Napoli, dove rimane 7 anni formando una coppia formidabile con Sivori.  «Facciamo un patto: “Omar, tu sei il re della città e io sono contento, basta che mi fai fare due gol a partita”». Funziona.  «Lui fa la differenza e tutti lo amano, anche se è altezzoso e non ha voglia di allenarsi. Ma sente le gare e prima di ogni partita vomita per la tensione. Come faceva Maldini al Milan». L'allenatore è Pesaola.  «Un giorno annuncia: “Oggi serata libera: chi rientra prima delle 3 di notte sarà multato”. Molto libertino...». Lei in segna 71 gol in 180 gare. Poi saluta e, nel 1972, va alla Juve.  «Devo sostituire Bettega e per eccesso di zelo mi metto a dieta perdendo 8 kg: non ho più tono muscolare e non sto in piedi. Così finisco tra le riserve». Ha 34 anni e le ritagliano un nuovo ruolo: bomber che entra dalla panchina e segna. Alla Altafini.  «Mi faccio trovare sempre pronto. Anche se all'inizio non mi piace». Come è l'ambiente bianconero?  «Alessandro, ti devo raccontare questo per capire. Un giorno Causio si presenta all'allenamento con una Ferrari nuova. Boniperti lo rimprovera: “Ma come, con tutti i problemi che ha la Fiat tu arrivi in Ferrari?”. Il giorno dopo l'ha data indietro». Ultime domande veloci. Con i club italiani ha segnato 216 gol in serie A, 296 in totale: il più bello?  «Il 2-1 a Wembley». 2) L'avversario più fastidioso?  «Guarnieri, sempre in anticipo». 3) Il più simpatico ora in serie A?  «Totti». 4) Esiste il doping nel calcio?  «Pilloline ne ho prese: chi dice di non averne mai prese è un bugiardo». 5) Ha avuto tante donne?  «Poche ma buone». Ultima: ha paura della morte?  «Sì, ma la fortuna è che non tempo di pensarci: ho sempre qualcosa da fare. Anche se adesso il calcio e la tv mi hanno messo in panchina e nessuno mi fa più entrare...». di Alessandro Dell'Orto

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