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Quando le star di Hollywood sono gli animali

Alessandra Menzani
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Quattro zampe da Oscar. Quando la fama degli amici (o nemici) a quattro zampe dell'uomo supera quelle delle star (in carne ed ossa) di Hollywood, è giusto celebrarne le gesta come se fossero –  basta guardare i loro cachet  – delle vere icone dello Star System. Il gatto brontolone Grumpy  vanta 7 milioni di fan su Facebook e un milione e mezzo di “seguaci” su Instragram. Per scritturarlo bisogna rivolgersi al suo manager, che lo accompagna in una limousine dai vetri oscurati. Ma già negli anni '50 un suo illustre predecessore, il soriano Rhubarb (Rabarbaro), era apparso in oltre 500 pellicole, aggiudicandosi due Patsy Awards (Picture Animal top Star of the Year), e fatturava cento dollari al giorno, spostandosi su aerei di linea, sempre in prima classe. Senza contare che fu proprio un cane, il pastore tedesco Flash, a salvare negli anni '30 la Metro Goldwyn Mayer dalla bancarotta. Così il Museo nazionale del Cinema di Torino ospita fino all'8 gennaio, nella suggestiva Mole Antonelliana, una mostra imperdibile per tutti gli amanti degli animali: “Bestiale! Animal film stars”. Un'esposizione unica per ricchezza dei materiali – provenienti dalle maggiori istituzioni cinematografiche mondiali, dall'Academy of Motion Picture di Los Angeles alla  Cinémathèque française, al Bafta di Londra – e concepita in dieci sezioni dai curatori Davide Ferrario e Donata Pesenti Campagnoni. Si parte dai “classici” animali-eroi come Lassie, Cheeta, Rex e Rin Tin Tin, per  approdare agli iper teconologici animatronics del maialino “Babe” e del cavallo “Seabiscuit ”, di cui è esposta una delle teste. Indimenticabili star-pets come Uggie, cane senza nome sul set di “The Arstist” ma di cui è stata scritta una autobiografia a tiratura limitata (con tanto di autografo a quattro zampe!), o come Francis il “mulo parlante”, simpatico divo di 7 film della Universal negli anni '50, che fu costretto a un'estenuante dieta e a jogging quotidiano dal suo allenatore, secondo pratiche oggi vietate, ma dotato di un parrucchiere e di un addetto all'igiene sempre al suo fianco. Sui più amati (e pagati) beniamini del cinema, a quattro o a due zampe, abbondano aneddoti e curiosità: dal gufo delle nevi di Harry Potter, per cui sono stati usati 7 esemplari, al cagnolino Totò che accompagnava Judy Garland nel “Mago di Oz”, vero nome Terry, che per due settimane si trasferì nella villa della diva, ma la cui adozione fu negata dall'addestratore, forse perché la bestiolina era arrivata a guadagnare 125 dollari a settimana. Ma non sempre le star pelose sono i migliori amici dell'uomo. A volte ne sono i più invincibili nemici, come dimostrano gli uccelli di “The Bird” o lo Squalo di Spielberg, passando per “King Kong” e “Il pianeta delle Scimmie”, per cui furono ingaggiati oltre 80 truccatori addetti al make-up delle oltre 200 scimmie sul set. Senza considerare il rapporto simbiotico e simbolico che il grande schermo instaura con le sue piccole e grandi creature, tema a cui è dedicata la sezione l'Animale Antropomorfo, con il rischio di arrecare danni. “Uno dei problemi quando si parla di cinema e di animali è la sovrapposizione inconsapevole che si fa tra animale in carne ed ossa e personaggio, come per Lessie, che sono in realtà otto cani diversi nel corso di 50 anni, tutti maschi – spiega il regista e curatore Davide Ferrario -  Noi attribuiamo a questi animali degli attribuiti che non possiedono nella realtà, ma che dipendono dal processo di fascinazione del cinema”. Esempio eclatante, il destino dell'orca-star di “Free Willie”: “Grazie al film il mondo scopre la sua storia e parte il movimento di liberazione di Keiko, il suo vero nome. Vengono raccolti 5 milioni di dollari per liberare un animale che non è più in grado di vivere nel suo habitat. La parabola di Keiko contiene tutto: il momento della gloria e della commozione, finché scopri che la libertà ha un prezzo perché l'orca, appena libera nell'oceano, muore. Questa vicenda spiega bene come noi utilizziamo le categorie umane, come la libertà, applicate agli animali, mentre in realtà stiamo parlando di noi”.  Intervista a Davide Ferrario, co-curatore della mostra “Bestiale!” alla Mole di Torino, sceneggiatore e regista. Debutta con il corto “Non date da mangiare agli animali”, nel 2005 dirige “Dopo Mezzanotte”, film interamente in digitale ambientato all'interno del Museo Nazionale del Cinema di Torino. Come nasce l'idea di “Bestiale!”, ovvero di portare dentro la Mole di Torino le storie e gli oggetti di scena degli animali “star” del Cinema internazionale? “L'idea è di Donata Pesenti, che mi ha coinvolto, forse perché tutti mi chiamano il  regista “cinefilo-cinofilo” dato che ho sempre avuto un cane, mentre adesso possiedo anche gatti e asini. Tutti amano gli animali e tutti amano il cinema: un concetto banale, in realtà  gravido di molte sfumature. Sin dagli esordi della storia del cinema, gli animali sono stati sempre presenti sui set, come i materiali esposti alla Mole dimostrano. Sono catalizzatori di tantissime pulsioni: da quella più semplice di ridere degli animali, perché sono i più simili agli esseri umani, sino a quest'ondata – ormai irresistibile nel cinema contemporaneo - in cui molti animali sono diventati “star” a pieno titolo, con tanto di premi a loro dedicati: dal Patsy Awards creato negli anni 50 da Hollywood al Palm Dog Award istituito nel 2001 al festival di Cannes”. E' stato complicato far arrivare a Torino tutti questi materiali: circa 440 pezzi, dalle foto di scena fino agli Animatronics, in gran parte inediti e provenienti da tutto il mondo? “E' sempre difficile muovere grandi istituzioni come l'Academy, la Universal, la Cinémathèque, e anche far arrivare tutti quegli animatronics dall'Australia. Tuttavia, da Los Angeles a Melbourne, ovunque sono andato a presentare questa mostra, tutti rispondevano: “Che bello!”. Come se questa idea del cinema degli animali, così semplice ma inedita, aprisse il cuore a tutti, perché tutti amano gli animali o hanno un animale cinematografico che gli è rimasto nel cuore. Così abbiamo ricevuto la massima collaborazione”. Da giugno la mostra ha avuto oltre 300mila visitatori e varie declinazioni tra il Torino Film Festival, workshop e serate a tema. Un evento che l'ha particolarmente colpita? “Uno dei direttori dell'Academy è venuta a Torino e ha fatto un'orazione molto divertente sui cani e Hollywood davanti a una platea di 60 cani. Il concetto di questa serata, per cui è stato aperto il cinema del Museo, era che i cani portassero al cinema i padroni. Così c'erano 60 cani in sala che hanno visto un film muto, accompagnato dal pianoforte, e quasi tutti rispondevano in maniera sorprendente alle sollecitazioni musicali: quando il piano accompagnava le scene di azione o di minaccia, alcuni iniziavano ad ululare, seguendo l'accompagnamento musicale, e andavano anche a tempo..” Cosa avete imparato in giro per il mondo su queste star a quattro zampe? “Quando siamo andati a filmare alcuni dei più noti animal trainer americani, dall'addestratore di Huggie, il cagnetto molto simpatico di “The Artist”, o siamo entrati nella gabbia con l'addestratore di tigri del “Gladiatore”, è stato interessante ragionare con loro, che conoscono gli animali in maniera molto diversa da noi. Oggi tanta gente preferisce adottare un cane piuttosto che fare un figlio o convivere con il coniuge Dall'altra parte c'è una grande sensibilità animalista, ci siamo resi conto che non si possono brutalizzare gli animali e che ogni bestia ha la sua dignità. Però tutto questo fa anche dimenticare la loro essenza: gli animali sono qualcosa di radicalmente diverso da noi, qualcosa che il cinema spesso mistifica, dato che il cinema è stato inventato per creare emozioni”. La mostra rievoca la triste storia di Keyko, l'orca protagonista di “Free Willie”, la cui liberazione in mare fu voluta da un movimento enorme di persone, commosse dalla storia raccontata nel film… “Esatto. Parlando con gli addestratori di animali, che non sono più quelli degli anni 50 che usavano le fruste ma che oggi lavorano con un metodo di gratificazione anche con gli animali feroci, si ritorna con i piedi per terra. Loro sono consapevoli che c'è una zona del rapporto uomo-animale in cui non bisogna avventurarsi, perché siamo biologicamente diversi. Mentre quello che tende a fare il cinema di oggi, soprattutto da quando gli effetti speciali ci hanno abituato agli animali che parlano e agiscono come esseri umani, è spersonalizzare le bestie per trasformarle in qualcosa di simile a noi. In realtà, c'è un elemento animale che deve sempre rimanere intangibile. Altrimenti ci stiamo solo ingannando sulla natura degli animali e questo porta conseguenze disastrose”. Perché oltre ai cani e ai gatti, ha scelto di vivere con degli asini? “Ho un piccolo terreno alle porte di Torino dove vivo con due pastori bergamaschi, due gatti e tre asini e tutti vanno molto d'accordo. La “virtù” degli asini è quasi una parabola evangelica: fanno tutto lentamente, non hanno fretta nemmeno quando mangiano, sono appassionanti nella loro semplicità. Sono usati anche per la pet terapy perché hanno una qualità unica: quella di non chiedere niente, di avere sempre i piedi ben piantati a terra, in 15 anni non ho mai avuto problemi con loro. Adesso ne ho una coppia con un figlio, ma prima avevano avuto 5-6 figli perché sono animali molto prolifici”. Ha mai pensato di proporli a Clooney, che ha già sperimentato la convivenza con un maiale domestico? "Ho preferito darli ad amici di cui mi fidavo”. di Beatrice Nencha

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