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Lucia Azzolina e la scuola chiusa, Renato Farina: "Maturità farsa, meglio abolirla"

Renato Farina
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Il decreto del ministero dell'Istruzione consta di 27 pagine di aria fritta e, smarrite nel sottobosco, di due righe dove si dice la verità. Riducendo a brodo ristretto il documento si evince che: 1) Tutti saranno ammessi all'esame, basta risultare iscritti all'ultimo anno. 2) Gli esami saranno online, con sola prova orale, i candidati saranno valutati da una commissione interna presieduta da un docente esterno. Cioè la maturità sarà una burla. La nostra proposta è che il Parlamento riformi queste norme. Sia severo ma giusto con i somari che vogliono propinarci questo esame offendendo la dignità di professori, studenti e dello Stato medesimo che di questo vaglio si fa garante. Le Camere abroghino, per cause di forza maggiore, la maturità 2020. Per le prossime si vedrà. Sia consegnata la valutazione di ogni singolo studente al consiglio dei docenti che sarà in grado perfettamente, dopo cinque anni, di giudicare se lo studente meriti o non meriti il diploma.

 

 

 

Non gli si chiede di esprimere un giudizio sull'integralità della persona, non siamo in uno Stato etico, che soppesa l'anima, ma neppure in uno Stato a-morale per cui la sostanza delle cose è un rito senza serietà, un fumo di fantasmi ridanciani. Quest' anno l'esperimento si impone, in autunno si approntino regole più meditate per i tempi venturi. Il testo approvato dal Consiglio dei ministri prevederebbe due possibilità. La prima, a cui nessuno crede, è che le lezioni possano riprendere il 18 maggio. In quel caso ci sarebbe una trafila di scritti e orali addolciti rispetto alle volte scorse. È però una non-eventualità, messa lì per spaventare gli studenti e spingerli a tifare Coronavirus, tanto ammazza i vecchi. È un'ipotesi del terzo tipo, e la ministra Lucia Azzolina lo sa, essendosi già spinta da Fabio Fazio a prevedere la ripresa della scuola a settembre con lezioni on-line.

Bugia o messinscena - Se pertanto la prima possibilità è tristemente una bugia, la seconda, con la sua tronfiaggine burocratica, ci pare la messinscena ridicola di una parata che costerà centinaia di milioni allo Stato e inietterà in chi si appresta a concludere licei e istituti tecnici l'idea che nella vita non contano la sostanza del sapere e la forza di carattere, ma l'adempimento delle formalità, la compilazione di un apposito modulo, l'inchino davanti a confessionali vuoti di autorità, che ti assolveranno sempre e non ti daranno neppure la penitenza. Diventa la banalizzazione del merito e della competenza, adeguando i ragazzi a un'idea di Stato da operetta, in perfetta coerenza peraltro con l'elevazione dell'ignoranza a supremo criterio di comando. Insomma, a proposito di "Esame di Stato": l'esame non sarà più neanche lontanamente un esame, e lo Stato avrà la maschera di Pulcinella. Già nel 2016 si aprì un dibattito sull'opportunità di tenere in funzione l'esame di maturità, con il suo apparato barocco. Da decenni era una macchina a vapore, funzionante a carbonella, che non selezionava un bel nulla. Un termovalorizzatore di qualunque dabbenaggine, bastava gettare una capra in quel forno e maturava di tutto. In quell'anno gli ammessi alla maturità furono il 96 per cento degli iscritti dell'ultimo anno (cioè tutti, tranne quelli che non si erano mai neppure presentati a scuola). A essere dichiarato "maturo" fu il 99 per cento di costoro. L'esatto contrario della vita, la cui selezione è assai più aspra, e lo sappiamo tutti quanti molto bene. E lo hanno imparato soprattutto i diplomati di quel tempo, dove specialmente in Puglia e in Calabria, ebbero il record di voti alti. Quest' anno, con il decreto Azzolina-Covid, si esagera nel processo di liquefazione, e si trasformerà nell'opposto perfetto per cui era stato pensato da Giovanni Gentile. In particolare nei licei la prova di maturità funzionava come un frantoio per spremerne la futura élite. Un modo anche per garantire, dopo congrue borse di studio, la possibilità di elevazione sociale anche dei ceti operai o artigiani. Non si trattava per i licei di imparare un mestiere di mano e di dottrina, come capitava per gli istituti tecnici che sfornavano indispensabili (e lo sono ancora) periti, geometri e ragionieri, ma la prima scelta di una plausibile classe dirigente indirizzandola in esclusiva all'università. Scrisse il comunista Giorgio Amendola di questi esami: «Il valore è essenzialmente morale, di prova di carattere e di volontà. Una prova da superare, una selezione da affrontare; come la vita esige fuori della scuola e in ben più severe condizioni e con maggiori ingiustizie. Sentivo allora attorno a me la fiducia degli amici e la tesa diffidenza degli altri. Per me la posta non era il pezzo di carta della licenza liceale, ma la conquista di una stima di cui avevo bisogno per riorganizzare la mia nuova vita» (Una scelta di vita).

Da iniziazione a trastullo - Quando scrisse queste parole, nel 1976, era cambiato già tutto. Prima ci fu l'esame Sullo e il noto ritornello: «Mi sollazzo e mi trastullo tanto c'è l'esame Sullo». Poi giunsero ulteriori alleggerimenti. Non è più quel momento serio della vita, una sorta di iniziazione tribale. È giusto che cambi sistema. Non è più quel mondo, e la nostalgia è roba da mezza età. Si vada invece alla valutazione seria e quinquennale, la quale non teme il solito annullamento del Tar, dove chi è bocciato all'esame (uno su cento) è promosso dai giudici. C'è il sistema di Finlandia, Svezia e Islanda dove la severità è lungo il percorso, e alla fine c'è una certificazione. E non ci si imbarca in rituali burleschi

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