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Vittorio Feltri, Silvia Romano e il riscatto: "Vietato pagare? Principi della Costituzione calpestati"

Vittorio Feltri
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I sequestri di persona hanno segnato molti anni della recente storia italiana. Cominciarono nel Settanta e proseguirono per vario tempo seminando angoscia in parecchie famiglie, costrette a sborsare riscatti folli allo scopo di poter riabbracciare i loro cari rapiti. Chi ha la mia età ricorderà vicende dolorose e addirittura tragiche.

 

 

Rammento il caso atroce di Cristina Mazzotti, studentessa diciottenne di Erba, strappata dalla sua casa il 30 giugno 1975, tenuta per mesi segregata in una sorta di tomba e infine uccisa dalla banda che l' aveva imprigionata. Una vicenda che scosse l' opinione pubblica e che è simile a quella di Cesare Casella, finito nelle mani di una cosca calabrese e rinchiuso in un cunicolo sull' Aspromonte per oltre due anni in catene. Il ragazzo resistette a ogni tortura e si salvò grazie alla madre, mai doma nel tentativo di riaverlo vivo. Due episodi emblematici.

Dato che questo tipo di reato all' epoca era diffuso, volendolo contrastare, il Parlamento approvò una legge crudele ma indispensabile: bloccare gli averi dei genitori e dei parenti delle vittime al fine di scoraggiare i delinquenti adusi a questo genere odioso di delitto. Seguirono proteste, polemiche e perfino ribellioni, eppure lo Stato fu irremovibile: vietato pagare per «scarcerare» cittadini rapiti. Il provvedimento, discutibile senza dubbio, si rivelò tuttavia efficace, nel senso che i sequestri cessarono poiché non rendevano più alle mafie.

Quella legge è ancora in vigore, ma chissà per quale arcano motivo oggi viene regolarmente violata con un pretesto: se il crimine è commesso nel nostro Paese, si applica la norma del congelamento dei conti correnti, se invece si consuma all' estero ricompensare con quattrini i malfattori è lecito. Lo stesso governo autorizza versamenti di denaro pubblico finalizzati a chiudere la partita con i terroristi.

Due pesi e due misure, una pratica intollerabile, iniqua. Episodi che confermano la veridicità di quanto sto scrivendo sono numerosi. Eccone due: le famose Simone, due amiche che si erano recate in Iraq, la giornalista Giuliana Sgrena del Manifesto. Gente strappata ai «gentiluomini» islamici a suon di palanche. Giustamente nessuno protestò, davanti ad esistenze salvate c' è poco da alzare la voce. Ma la circostanza che una norma dello Stato sia rispettata in patria, e dal medesimo Stato sia trasgredita fuori dai nostri confini, grida vendetta.

Ciò detto non abbiamo nulla da eccepire a riguardo della liberazione onerosa di Silvia Romano, siamo felici che abbia riportato la sua pelle a Milano. Però qualche spiegazione l' esecutivo dovrebbe darcela. Esigere chiarezza non significa seminare odio come stoltamente afferma il presidente nazionale dei giornalisti, tale Verna. La libertà di pensiero e quella di stampa valgono forse meno della libertà di Silvia? Se è così abbiate il coraggio di ammetterlo. Dite almeno che dei principi costituzionali non ve ne frega un bel niente.

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