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Vittorio Feltri contro Conte, Di Maio e Bonafede: "Meglio i vecchi tromboni della politica dei minc*** di oggi"

Vittorio Feltri
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Non sopporto la politica italiana e forse per questo mi tocca curarmene da oltre mezzo secolo. Devo riconoscere che un tempo lontano almeno c'erano i partiti organizzati, con tanto di federazioni e sezioni locali, che trasmettevano l'impressione, o l'illusione, di essere cose serie, affidabili. Coloro che intendevano cimentarsi nella attività pubblica non ignoravano come fare: si iscrivevano, che so, alla Democrazia cristiana o al PCI. Se erano accolti con favore dai capi iniziava un percorso non breve e pieno di insidie. Il neofita doveva occuparsi del ciclostile, degli opuscoli, dell'affissione dei manifesti delle varie campagne elettorali. La massima espressione delle aggregazioni politiche consisteva nei comizi, che avvenivano tanto nelle città quanto nei piccoli comuni della provincia. Ciò richiedeva un impegno notevole in chi desiderava sgomitare: correre appresso ai candidati, sostenerli, aiutarli a raccogliere nelle piazze il maggior numero possibile di presenze. Era un lavoraccio però assai utile ai ragazzi per imparare l'arte del tribuno. Dopo un paio di anni di noviziato, gli ultimi arrivati maturavano il diritto ad aspirare al seggio di consigliere comunale di seconda e terza fila, e si inaugurava in tale maniera la loro carriera. Cosicché apprendevano bene gli oneri del portaborse o del politico di complemento. I più abili e astuti progredivano e alcuni di essi, stagionati all'ombra dei potenti, riuscivano a conquistarsi un posto al sole, entrando addirittura in Parlamento dove agivano con prudenza osservando le regole imposte dai leader. Questo era l'iter. Quando si trattava di formare un nuovo governo la preoccupazione era quella di identificare il più idoneo novello premier a disposizione, scelto il quale era indispensabile fornirgli una mano nella compilazione di un programma gradito all'intera maggioranza. Opera che richiedeva settimane. In ogni caso questo rito era accettato e praticato da tutti sotto la vigilanza critica della opposizione. Ottenuta la fiducia di Camera e Senato, il presidente del Consiglio prendeva il suddetto programma e lo deponeva in un cassetto, dimenticandosene, alle prese come era con mille opere tese a permettergli di restare in piedi. Gli esecutivi della prima Repubblica quasi mai duravano più di un anno, ma erano la fotocopia l'uno dell'altro. Comandava sempre la Dc.

 

 

 

Oggi tutto è cambiato. E il lettore ne è edotto. Si va a votare e non si ha idea di chi vincerà. Non esiste certezza. Si sono affacciati sulla scena movimenti improvvisati, all'assalto delle poltrone si gettano personaggi improbabili, privi di esperienza e di cultura politica specifica, si dà vita a maggioranze appiccicaticce e incapaci di disegnare una prospettiva per il Paese. Si racimolano quattro minchioni e li si colloca al vertice delle istituzioni, senza pensare che i parvenu valgono meno della metà delle vecchie rozze che si erano fatte le ossa nelle federazioni partitiche dove avevano appreso il mestiere. Già, perché la politica è un brutto mestiere, eppure un mestiere è. Il risultato è sotto gli occhi di chiunque non sia cieco: non si vergano più neanche i programmi che almeno servivano ad alimentare qualche speranza negli elettori, quand'anche rimanessero lettera morta. Adesso disponiamo di un premier che non ha mai amministrato neppure un condominio, ministri da diporto che eliminano la prescrizione come se cancellassero una virgola dell'ordinamento giudiziario, un ministro degli Esteri convinto che la Russia sia una nazione mediterranea e che Matera sia in Puglia, senza contare il suo irrisolto contenzioso col congiuntivo, essendo egli persuaso sia il cugino scemo della congiuntivite e il fratello minore di un congiunto. Insomma siamo al delirio, aggravato dal Covid e dalle sue conseguenze mostruose, che hanno intontito i cittadini. I quali temono sia imprudente liquidare questo gabinetto e non si rendono conto che esso è un cesso, liberarci del quale sarebbe comunque vantaggioso. Meglio i tromboni di trenta anni fa che i pifferi in auge.

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