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Vittorio Feltri e il ritratto di Giuseppe Prezzolini: "Amico di Mussolini? Ciò che i detrattori non capiscono"

Vittorio Feltri
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Lugano, gennaio. «Anniversario della mia nascita, che spero non mi porterà auguri consumati dall'uso, e forse sottilmente velenosi. Molti sanno come la penso. Le feste a data fissa non le posso soffrire». Questo pensiero è di Giuseppe Prezzolini. È scritto nel suo Diario: 1942 - 1968 alla pagina 27 gennaio 1943. Sono passati 39 anni. Ma dal giorno in cui fece l'annotazione - in una spoglia soffitta che sbirciava sui tetti di mezza New York - la sua opinione riguardo alla feste non è cambiata. Prezzolini non ha fatto eccezione neppure per il centesimo compleanno, e lo ha trascorso con la solita ostentata indifferenza per tutto ciò che, intanto, gli accadeva attorno. Telegrammi, lettere, telefonate e commemorazioni non hanno potuto turbare la sua orgogliosa solitudine, nell'appartamento di via Motta, davanti allo scorcio più bello del lago di Lugano.

Libri, caffè, acquavite, foglietti zeppi d'appunti, macchina per scrivere: un giorno qualsiasi di un moderato lavoro, compatibilmente con l'età; e niente smancerie, candeline o altro. Un secolo di battaglie non ha fiaccato la sua grinta di bastiancontrario, ostile ai luoghi comuni e alle convenzioni, refrattario a tutto ciò che non sia filtrato dalla regione e da spirito critico. La maggior parte degli italiani si è accorta soltanto ora di Prezzolini. E non tanto perché ne apprezzi finalmente l'opera e il pensiero, ma perché è un centenario, in qualche modo eccellente. Molti, insomma, hanno scoperto un fenomeno biologico interessante, non uno dei pochi intellettuali italiani che non sia mai andato in soccorso del vincitore. Uno dei pochi che ha praticato spesso il salto del pasto, mai il salto della quaglia, specialità nella quale parecchi suoi colleghi hanno dato ripetute e spettacolari esibizioni. Per quanto adesso se ne parli, Prezzolini resta per la massa al seguito delle mode un personaggio sconosciuto, al massimo un vecchietto simpatico, ma bizzoso e sfrontato; e per gli addetti ai lavori, un collega che ha sprecato il suo ingegno in atteggiamenti e in attività censurabili, da condannare.

«TOLGO IL DISTURBO»
Le invettive che gli sono state lanciate contro sono innumerevoli: fascista, la più benigna. Togliatti scrisse di lui: «Meretrice vecchia venduta su tutti i marciapiedi». Quando collaborava con il Borghese di Leo Longanesi inviando articoli dagli Stati Uniti, l'apparato culturale o lo ignorava o lo liquidava con disprezzo: «Lasciatelo dire, quel bieco reazionario». L'Italia del dopoguerra non gli ha mai perdonato l'amicizia che ebbe con Mussolini e la biografia che ne tratteggiò. Nessuno però si è mai chiesto quale giovamento trasse da quell'amicizia, peraltro nata in epoca non sospetta, ossia quando il capo del fascismo non era ancora il duce, ma un maestro elementare con la marsina lisa. E nessuno ha mai messo in risalto che lo scrittore, nel momento in cui l'amico cominciò a tuonare dallo storico balcone, con mezza Italia plaudente e in camicia nera, lui, Prezzolini, anziché godersi un posto nella lugubre corte dell'impero, prenotò un posto di terza classe su una nave e varcò l'oceano. Prima di imbarcarsi regalò una profezia ai connazionali: «Il fascismo sarà una buffonata, ma per vent' anni almeno ve lo terrete addosso; tolgo il disturbo». Ai nemici e agli amici che lo salutavano romanamente Prezzolini risposte sventolando il cappello.

«ASPETTAVO LEI PER PIANGERE»
Negli Stati Uniti rimase fino al 1968: professore alla Columbia University, direttore della casa italiana di New York. Viveva di stipendio fra stranieri in camere di pensione, mentre i suoi colleghi detrattori di oggi primeggiavano nei littoriali e si scambiavano medaglie nei salotti del regime. Eppure dopo il sanguinoso rovescio, costoro furono i primi ad accusare Prezzolini per il suo passato, sorvolando sull'emigrazione che lo aveva posto materialmente fuori da ogni possibilità di collaborazionismo. Flaiano ha coniato un aforisma illuminante: «I fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti». Questi ultimi in particolare si sono sempre accaniti sul professore della Columbia University, al punto che ancora oggi il suo nome è sinonimo di fascista, benché il vecchio scrittore, come dimostrano i suoi 100 libri e gli articoli che tutt' ora appaiono regolarmente sul Resto del Carlino, sia assolutamente fuori dei termini schematici e falsi del "politichese" corrente.

E poi ci si stupisce che Prezzolini preferisca l'esilio in Svizzera piuttosto che tardivi onori in Italia. La "penna d'oro" datagli da Pertini gli ha fatto piacere, così come il discorso di Spadolini. Ma il suo viaggio a Roma è durato un solo giorno. Dover compiere cent' anni per avere un riconoscimento in patria è eccessivo anche per un disubbidiente ben consapevole che, avendo sempre detto nossignore, non può aspettarsi molto dai potenti. Dicono che abbia un brutto carattere. Probabilmente ce l'ha brutto come tutti quelli che hanno un carattere. Ma non si capisce mai quando è arrabbiato sul serio o quando scherza. E sono sempre scherzi amari. Quando riusciamo a farci ricevere a casa sua, proviamo anche noi a stare al gioco sottile dell'ironia, ma è impossibile essere all'altezza del maestro.

Professore, le auguriamo altri cent' anni.
«A queste scemenze rispondo facendo le corna. Corna su corna. Campare non è gradevole, e lei lo sa. Ho provato due volte ad ammazzarmi».

Non credo volesse morire.
«Volevo morire, eccome. Gli altri me lo hanno impedito. Sarebbe troppo lungo da spiegare ora. Comunque ero convinto di quel che facevo. Ed ero contento di morire. Morivo contentissimo. Lo so perché sono stato varie ore in sala di rianimazione. È stato uno dei momenti più belli della mia vita».

Perché viene raramente in Italia?
«Ci vado spesso invece, arrivo qui al confine a comperare un certo vino bianco».

Qual è, secondo lei, lo scrittore italiano più simpatico?
«Forse io stesso».
 Come le sembra il governo Spadolini, agisce bene o male?
«Agisce come può un governo italiano».

È vero che lei non ha mai votato?
«Verissimo».

Perché?
«Perché il mio voto vale come quello di un analfabeta. Le sembra giusto, perfetto?».

A cent' anni lavora ancora per i giornali, come mai non riposa?
«Lavoro per denaro. Mi serve. Serve a tutti. L'unico consiglio che posso dare ai poveri è di diventare ricchi».

Questo è Prezzolini. È rimasto lo stesso di 60 anni fa, con le sue battute, le sue invenzioni argute. Fra i tanti insulti che gli sono toccati c'è anche quello di "teppista intellettuale". Senza contare le etichette più banali: pessimista, disfattista, nemico del popolo. Tutto perché rifiuta le briglie. «Da ragazzo strappavo i libri, non volevo studiare». Fu Papini ad avviarlo alla cultura con la persuasione. Ma ai banchi di scuola non volle sedere. Imparò da solo. All'università ci arrivò da professore, ma studente non ci entrò mai. Con i suoi scritti ha attaccato il servizio militare, il matrimonio e la famiglia: "invenzioni borghesi". Ma è stato ufficiale della prima guerra mondiale, due volte marito e padre. Chi non ama i suoi paradossi non può capirne neppure il senso, la disperazione. Poco più di un mese fa morì improvvisamente la seconda moglie. Arrivò il medico di famiglia e accanto alla donna morta trovò un Prezzolini immobile, le mani sulle ginocchia e lo sguardo fisso. «Che cosa fa professore, lì in quel modo?». E Prezzolini: «Aspettavo lei per piangere». Ecco, il medico è uno dei pochi amici che gli sono rimasti, va a trovarlo quasi ogni giorno. Eppure lo scrittore riesce a polemizzare - scherzosamente - anche con lui.

TELEGRAMMA AL SUO MEDICO
 Se tarda l'abituale visita, gli manda un telegramma: poche parole secche di sollecito. In questi giorni a tenergli compagnia c'è una ex allieva italo-americana, suor Margherita Marchione. Gli vuole bene, quasi una venerazione. Ha chiesto al convento sei mesi di licenza per restargli accanto in questo momento difficile. «Ora che gli è appena morta la moglie, ha bisogno di una persona amica. Anche se ha pudore dei sentimenti, sento che la solitudine gli fa male». È lei che ci vuole riaccompagnare all'uscio dopo la chiacchierata con Prezzolini. Lui intanto è tornato alla macchina per scrivere. Il picchiettio dei tasti è rapido e nervoso, sta finendo un articolo.

La casa è tappezzata di libri, vi regna il disordine delle persone attive. In uno scaffale qualche bottiglia, whisky, cognac e grappa. E su un tavolo le bozze dell'ultimo libro: Prezzolini: cent' anni di attività. È il centesimo, uno per ogni anno di vita, infanzia compresa. Lo ha scritto a quattro mani con Moravia e uscirà in questi giorni. Lo scrittore vede che ci attardiamo all'uscio e ci raggiunge. «Siete ancora qui?». Stavamo dando un'occhiata alle bozze del suo nuovo libro. «Vedremo se diranno che è fascista anche questo. Ma non importa. Importa invece che riesca a campare ancora un po', Lugano è bella». Ma non diceva che morire è bellissimo? «Lo dicevo mentre morivo, ma adesso, con rispetto parlando, sono vivo».

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