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Vittorio Feltri su Diego Della Valle: "Perché lo ammiro e invidio. Fa più lui per l'Italia di Giuseppe Conte"

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"Quest' anno, se possiamo fare un po' di vacanze, cerchiamo di farle in Italia. Il nostro è un Paese bellissimo che ora ha bisogno del sostegno di tutti noi italiani". Quest' appello ha occupato ieri una pagina su tutti i quotidiani nazionali, senza selezione di tendenza politica. Sarebbe stato bello fosse firmato da Giuseppe Conte. Il problema è che si trattava, come ha precisato ad ogni buon conto una scritta vicino alla cornice tricolore che contornava il messaggio, di "Avviso a pagamento", e com' è noto un governo che non riesce a pagare la cassa integrazione, figuriamoci se destina agli odiati giornali, che secondo il verbo dei Cinque stelle dovrebbero sparire tutti, salvo il Fatto, un solo centesimo in pubblicità.

Mi piace tutto di quella pagina. La chiarezza stringata. L'orgoglio patriottico senza trombone. Il pudore con cui si tien conto - senza nominarla né farla oggetto di patetismi - della gente che non può permettersi viaggi e neppure una breve villeggiatura. Mi convince ogni parola. E confesso ancor più la firma: Diego Della Valle. Non ha usato il marchio della ditta, così da far pubblicità alle sue scarpe e scaricare i costi dalle tasse. Ci ha messo il suo nome, evitando di esporre la sua faccia: qualche volta più dell'abbronzatura è bello esibire testa e cuore.

 

AMMIRAZIONE E INVIDIA
Insomma ho provato ammirazione e pure una certa invidia. In Italia è considerata imperdonabile la ricchezza, specie quella che non è maturata da un'eredità o dalle sovvenzioni di Stato (all'Avvocato tutto fu perdonato, e alla sua discendenza pure), ma è stata meritata dal lavoro. Eppure l'imprenditoria italiana specie nella prima metà del secolo scorso è stata caratterizzata da questa intelligenza sociale. Dico intelligenza, perché non nasce da una generosità paternalistica, ma esprime il senso di un'appartenenza al corpo di una nazione, da un affetto per i "fratelli d'Italia", e prima ancora per quelle che i vecchi industriali chiamavano "maestranze" o "collaboratori".

Con il tempo questa attitudine si è rarefatta. Alle prime avvisaglie di pericolo è invalsa la tendenza a cedere l'azienda allo straniero, e a spostarsi dall'odore della fabbrica a quello delle Merchant Bank, dove si parla inglese invece del dialetto. Della Valle resiste, e si espone come italiano per questo cazzo d'Italia mal governata, ma nostra. Non è il solo tra i magnati, non faccio altri nomi, perché ne dimenticherei qualcuno offendendolo, ma questa propensione di una certa classe padronale a sentirsi parte della propria gente - quella intorno alla sede della ditta, quella della regione, quella dell'intero Paese - ha in Diego il suo fuoriclasse. Questo suo modo di intendere la sua (sudata) fortuna lo ha manifestato allorché la sua regione, le Marche, fu devastata dal terremoto. Non si limitò a dare una mano con elargizioni a opere benefiche. Tirò su, ad Arquata del Tronto, in pieno cratere sismico, una fabbrica di scarpe.

 

Due anni fa è tornato e ha promesso ampliamento e nuove assunzioni. Dicendo: «Convincerò alcuni miei amici imprenditori a investire in questo territorio, contribuendo così a rilanciarlo. Farò il possibile affinché altri seguano il mio esempio». Non si sta bene se intorno c'è miseria e patimento sociale. Si sta bene se ciascuno ha il suo. A meno che si scappi, e si stia soli in qualche nido d'aquila sopra l'Himalaya. Ma che vita è? Della Valle merita una visitazione alla sua, di vita. Non essendoci in giro Giotto, bisognerà per uno schizzo accontentarsi del sottoscritto. Diego è, a dispetto ma forse in perfetta consonanza con il suo appello pro-Italia, internazionalissimo ma riposa bene quando lavora nella fabbrica del nonno e poi del padre, a Sant' Elpidio a Mare, provincia di Fermo. Eccoci a Sant' Elpidio. Di solito un certo stereotipo vede in contrasto la natura e il lavoro. La natura - si pensa - ha bisogno, per essere se stessa, di essere lasciata in pace. E il lavoro, con le sue polveri grevi e sottili e i suoi scarti inevitabili, quando non è agro-pastorale per forza di cose ferisce e spezza, insomma abbruttisce il paesaggio, ridisegna il cielo, e normalmente non per renderlo più puro. Le Marche di Della Valle smentiscono l'anatema dei gretini. Industria è bello, qualche volta in tutti i sensi. Le Marche ne sono l'emblema. Non grida la natura, ma nemmeno strepitano le macchine.

LE AMATE MARCHE
La morbidezza delle valli (Della Valle...) non si ferma sui pendii, si versa nelle cittadine e nelle fabbriche dove le mani dei marchigiani tagliano, cuciono le pelli, disegnano le tomaie, trasformano la scarpa in una carrozzeria che ha la classe delle Ferrari degli anni '50, guidate da gentiluomini dotati ovviamente di Tod's con i 133 pallini della suola. Per questo, logicamente, si fanno nelle Marche le scarpe più belle del mondo (insieme a certi laboratori inglesi, a parer mio). Perché natura e lavoro sono la stessa cosa. Specie intorno a tre città: Fermo, Civitanova Marche e Macerata. Dopo di che, Della Valle se ne va da Sant' Elpidio. E acquista marchi prestigiosi a Parigi (Schiapparelli di place Vendome), a Londra, magazzini in America come i mitici Saks Fifth Avenue. Investe nella finanza. Banche, editoria. Litiga per svecchiare, non ha paura di farsi nemici potenti, ci gode pure a essere un monello perbene.

Della Valle si è ritrovato già dellavallizzato sin da piccolo, nipote e figlio di fabbricanti di scarpe. Ricorda ancora l'odore e lo sguardo del nonno e del papà, le sgridate di quando lasciava le impronte delle sue dita sul dorso di scarpe che riposavano la notte per essere svegliate e tirate a lucido la mattina. Gli è rimasto dentro il modo con cui trattavano i lavoratori, capitale umano ma più umano che capitale. La fabbrica di Sant' Elpidio è un modello di questo stile: non ci sono insegne, è come un bel fungo nel bosco delle Marche. Il mattino arrivano le mamme che lasciano all'asilo nido i piccini, li vanno a trovare nelle pause, hanno anche il tempo di un'ora di palestra (è una fabbrica con palestra, la prima in Italia e forse la sola). Escono e tornano a casa con i bambini, come una volta le contadine lasciavano i pargoli nell'erba, ma era un altro mondo. Non si può fare roba bella se si fabbrica in un posto brutto e la gente che lavora sta male. Il prodotto assorbe per forza una positività o una negatività, in rapporto alla felicità degli artigiani od operai (una volta si diceva le maestranze).

Un giorno a Diego Della Valle fu proposto l'acquisto in società di un grande laboratorio inglese. Ci andò. Tanta produzione, pretesa di far oggetti lussuosi, ma il luogo e i rapporti di lavoro gli fecero torcere le budella. Non comprò nulla. Il Made in Italy è anche questa visione del mondo, e delle scarpe. "Se possiamo fare un po' di vacanze, cerchiamo di farle in Italia". Per questo lo ammiro, e lo invidio.

 

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