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Pietro Senaldi su Giorgia Meloni: "È una donna l'unica a dire no a Mario Draghi", la scommessa politica ed elettorale

Pietro Senaldi
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Solo una donna è stata capace di dire «no», senza se e senza ma, all'uomo che non deve chiedere mai, perché sa che tutto gli è dovuto. Mario Draghi dal 2012, quando con tre parole fermò la speculazione mondale che avrebbe ucciso l'euro e l'Unione Europea, è il salvatore, il profeta in patria, il predestinato. Mattarella l'ha imposto ai partiti, minacciando di mandare tutti a casa se lo rifiuteranno, e lui riceve i leader a uno a uno, parco di parole: «Mi dica». Dovrebbe essere lui a spiegare cosa intende fare, visto che è il premier incaricato, invece ascolta e valuta. Fa l'esame. Giusto così, se lo può permettere. La sinistra chiede un governo politico, lui tace anche se avrebbe in tasca la risposta che ammazza tutti: «Qui il più politico sono io, alzo il telefono e parlo con chi voglio, sono qui per garantirvi altri due anni di stipendio e fare un favore al Paese e al capo dello Stato».

 

 

Ovviamente non lo sottolinea, non serve. Tutta l'Italia che conta, industria, lobby, terziario, agricoltura, governatori, sindaci, chiesa, Servizi e molto altro sono con SuperMario. Perfino i comici stanno con lui; e con la sua retromarcia pro-governatore Grillo è tornato veramente a far ridere come non gli capitava da anni. Opporsi all'ex governatore di questi tempi è come pararsi in piedi davanti a uno tsunami. Ieri lo ha fatto una donna, piccola e per di più in stampelle, Giorgia Meloni. «D'altronde solo noi donne abbiamo le palle», direbbe l'interessata se non avesse staccato tutti i telefoni dopo la conferenza stampa con cui ha motivato il gran rifiuto. Giusta o sbagliata che sia la scelta, bisogna ammettere che la signora ha mostrato coraggio. Davanti a lei c'era non solo l'uomo più potente d'Italia e uno dei più autorevoli in Europa, ma anche colui che in tanti danno per destinato a succedere a Mattarella, dopo il sacrificio di passare i prossimi dodici mesi a Palazzo Chigi cercando allo stesso tempo di badare ai mille scolaretti che ha parcheggiati tra Camera e Senato e di lavorare.

ORGOGLIO DI DESTRA
La leader di Fratelli d'Italia si è presentata tesa e un po' imbarazzata, ma non titubante, ai microfoni del Salone delle Feste, dove ha spiegato la sua decisione, che non trova l'unanimità tra i parlamentari del partito e i pensatori d'area. «Sono una patriota e quindi voterò tutti i provvedimenti del governo Draghi che risponderanno agli interessi del Paese, senza chiedere nulla in cambio. L'Italia non è una democrazia di serie B, serve il voto. Voglio andare al governo con Berlusconi e Salvini, non con M5S e Pd. Non sono d'accordo con Matteo, che vorrebbe un esecutivo con dentro tutti, ma d'altronde non è la prima volta che ci dividiamo». Sono queste le parole che la Meloni ha concesso ai cronisti, poche e previste, condite con un avvertimento al centrodestra: attenti, SuperMario punta a durare, ha le sue idee in economia ma per il resto, dall'immigrazione alla giustizia, dalla politica estera alla pandemia, farà quello che gli serve per tenersi attaccata una maggioranza.

 

 

MOSSA DA VALUTARE
Gli spettatori si dividono. C'è chi pensa che Giorgia abbia fatto bene: se la Lega sosterrà Draghi, lei resterà da sola a destra a presidiare il fronte sovranista, e ragionevolmente questo dovrebbe fruttarle un nuovo sensibile aumento di consensi, forse in parte rubati proprio a Salvini. Altri sostengono che, per quanto la mossa possa aiutarla a crescere, nel lungo periodo contribuirà a isolarla e confinarla nella gabbia dei brutti, sporchi e cattivi, mentre l'alleato leghista grazie all'appoggio a SuperMario si ripulirà l'immagine e potrà puntare a ereditare il ruolo di Forza Italia e diventare leader di un partito che rappresenti un'alternativa istituzionale di governo al Pd. Solo il tempo potrà dire qual è il ragionamento corretto.

 

 

Certo, a spingere la Meloni verso l'Aventino non è stato il calcolo ma la sicurezza e l'orgoglio per un cammino iniziato con il no al governo Monti e la fondazione di FdI e portato avanti negli anni con coerenza, determinazione e sofferenza, senza mai scendere troppo a compromessi. Non è una scelta di rottura nei confronti del centrodestra e neppure una sfida a Salvini. Giorgia è convinta che, se cresce lei, cresce tutta la coalizione; e forse è arrivato davvero il momento per questa coppia di sovranisti dal complicato affiatamento di dividersi ruoli ed elettorato di riferimento, anziché farsi concorrenza a destra. Quando iniziò la sua avventura con Fratelli d'Italia, con La Russa e Crosetto, quest' ultimo, dall'alto dei suoi due metri la prese in braccio. Il gigante e la bambina contro il mondo. Giorgia, pochi mesi prima la più giovane ministra della storia della Repubblica, era disposta a lasciare la politica se avesse fallito. Anche oggi la sfida è per la vita e c'è sempre un gigante; stavolta non è un amico protettivo ma un monarca rifiutato. Però la Meloni non è una bambina ma una guerriera senza paura. 

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