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Roberto Speranza pensa a un nuovo lockdown? Renato Farina senza mezzi termini: "Fate stare lui a casa"

Renato Farina
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Ancora Roberto Speranza (de)merita la foto di prima pagina. Non siamo noi a esserne ossessionati. È lui che è ossessionato dal bisogno di inocularsi nella nostra vita, sostituendosi ai vaccini che non ci sono, con esiti devastanti a breve, medio e lungo periodo, qualunque parametro si usi. La sua politica lo scorso anno è stata basata essenzialmente sui lockdown, il domicilio come galera, e fuori un controllo da Stato di polizia sanitaria. Dopo il lockdown, i colori, con algoritmi che hanno modificato le leggi antiche del buon senso nel regolare spostamenti e aperture e chiusure di fabbriche, scuole, chiese, ristoranti, negozi, piste di sci. La tecnica è stata quella del trattare i cittadini come sudditi da incatenare, abolendo d'accordo con Giuseppe Conte, e in linea con l'ideologia cinese dove conta lo Stato e non esistono persone ma masse da tenere al guinzaglio.

 

 

Ecco che ora ci riprova. Sono passati pochi giorni dalla pugnalata isterica all'economia alpina e appenninica, illusa fino all'ultimo di una ripartenza l'8 febbraio, e freddata 12 ore prima che ripartissero gli skylift, le funivie e con essi il turismo invernale. Adesso le cronache segnalano la determinazione a non lasciarsi neppure sfiorare dal dubbio di aver sbagliato. Insiste nel riproporre lo stesso schema. Adesso l'idea è quella del colore unico, l'arancione generalizzato, quanto di più vicino esista al bloccare l'Italia, riproducendo il modello fallimentare che ha fatto sì che l'Italia godesse dell'infausto primato di morti da Covid per numero di abitanti nel 2020, insieme al peggior risultato economico tra le nazioni del G20 (-9 per cento di Pil). Poi a gennaio la Gran Bretagna ci ha superato nelle cifre da obitorio: ma l'isola è stata investita dalla spaventosa «variante inglese». E adesso ne sta uscendo alla grande con una fantastica campagna di vaccinazioni. Perché la Sanità è anche prevenzione, pragmatismo da buon padre di famiglia, capacità organizzativa, rispetto per le persone, comunicazione credibile, zero propaganda.

 

 

FALSE ILLUSIONI
Speranza vuole chiudere tutto. Non ci va giocare sul cognome, ma il suo se vale il detto latino nomen omen, è stato una beffa del destino, o forse un avvertimento ironico del fato. Come quando Totò chiamava falso magro Aldo Fabrizi, così Speranza è stato una speranza falsissima. È la realtà che richiede la sua rimozione, o come direbbero alla Banca centrale europea il fact-checking, la corrispondenza cioè tra gli obiettivi annunciati e i risultati conseguiti. Il fatto è che Draghi e Mattarella scegliendolo hanno privilegiato l'amalgama politico: con lui hanno garantito due stabilità, quella del governo, ma anche quella del Covid. Non è questione di segni dal Cielo, ma di insuccesso manifesto. I risultati di una filosofia lucano-sovietica gridano vendetta o almeno dimissioni. Il disastro è accaduto e sta accadendo nel campo sottoposto alle sue cure (la sanità), e da lì si è espanso in qualsiasi territorio della vita sociale e personale degli italiani. Non sfugga un particolare cronologico: Speranza (42 anni, eletto con Articolo 1 nel 2018, confluito in Leu, estrema sinistra che raccoglie i comunisti non pentiti) è il ministro della Salute dal settembre del 2019. Abbiamo già scritto del suo palmarès che lo vede sul podio più alto della peggior gestione mondiale della pandemia. Nel periodo del suo infausto reame alla Sanità c'è un dato che da solo ghiaccia le vene e impone un cambio di rotta, la sostituzione del generale che ha sacrificato le truppe.

 

 

Lo ha fornito Mario Draghi nel discorso per ottenere la fiducia alle Camere lo scorso mercoledì. Ha detto il neo-premier: «L'aspettativa di vita, a causa della pandemia, è diminuita: fino a 4-5 anni nelle zone di maggior contagio; un anno e mezzo-due in meno per tutta la popolazione italiana. Un calo simile non si registrava in Italia dai tempi delle due guerre mondiali». La colpa non è di Speranza, è così ovvio che ci vergogniamo persino a chiarirlo. È un fatto però che non ha funzionato nulla con lui che era l'unico ministro che aveva la potestà di aprire e chiudere territori, applicare il piano in caso di epidemia, che esisteva ma non è stato usato, prendere per le orecchie il commissario Domenico Arcuri perché acquistasse prima mascherine e prenotasse per tempo vaccini tutelandosi dalle prevedibili mancanze europee con la preveggenza tedesca, inglese e israeliana. Invece niente. Hanno strapagato mascherine cinesi usando un giornalista della Rai che ha incassato milioni per il servizietto. E si sono accontentati di disegnare con lo smalto per unghie ambulatori speciali a forma di vezzose primule onde accogliere la gente da vaccinare, dimenticandosi di riempire i frigo di antidoti. Roba inutile, ragionamenti da Maria Antonietta. Tipo: manca il pane dei vaccini? Allora sfamatevi con la brioche delle location disegnate dall'archistar dei grattacieli di Milano.

ALTRO CHE LIBRO...
Ci ricordiamo tutti come il ministro avesse trovato il tempo di scrivere durante le vacanze estive un volumetto dedicato ai propri trionfi di Pirro: «Perché guariremo - Dai giorni più duri a una nuova idea di salute», edito da Feltrinelli. Lo ha ritirato appena in tempo dalle librerie: per molto meno sono state impiccate brave persone dal popolo furibondo. Ecco ora dovrebbe ritirarsi lui, come prova di autostima. Lunedì è atteso l'incontro tra i ministri Speranza, Gelmini e la rappresentanza delle Regioni. Ecco, se non altro abbiamo qualche motivo di ottimismo conoscendo la determinazione di Mariastella (Forza Italia), che ha sostituito Francesco Boccia (Pd) come titolare dei rapporti con i governi locali. Speremm. Oddio, ritiro.

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