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Mario Draghi e il flop che passa inosservato: un premier più bravo nei vaccini che nei ristori?

Paola Tommasi
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Lo hanno chiamato per risanare l'economia ma finisce che Mario Draghi farà meglio con i vaccini. Sul Recovery Plan vige il segreto più assoluto, al limite tra mistero e riservatezza, e il decreto "sostegni" appena varato si è già rivelato un flop. Mezza Italia è stata col fiato sospeso per giorni in attesa della decisione sulle cartelle esattoriali e ne è rimasta delusa. Una sconfessione del premier rispetto alle battaglie della Lega di Matteo Salvini pari per nettezza solo alla presa di posizione di inizio marzo che sancì il blocco delle esportazioni di vaccini AstraZeneca fuori dall'Europa. Lanciata così forte la sfida, Super Mario a questo punto non potrà più stare tanto sereno. I contenuti del decreto sono, per ammissione dello stesso Draghi, simili a quelli dei precedenti atti del governo Conte e anche la tempistica ha suscitato diversi malumori. Ci è voluto più di un mese dall'insediamento perché il ministro dell'Economia Daniele Franco mettesse ordine tra norme di fatto già scritte, e i 32 miliardi stanziati a gennaio per porre rimedio alle chiusure del periodo natalizio cominceranno ad arrivare sui conti correnti di chi ne ha diritto l'8 aprile, dopo Pasqua. Nel frattempo le chiusure delle attività produttive sono continuate con criteri perfino più stringenti e con perdite di fatturato tali che già servono ulteriori risarcimenti.

 

 

Ma Draghi e Franco ne hanno rinviato la quantificazione al Def, previsto per metà aprile, sebbene negli anni sia sempre slittato verso la fine del mese. Si tratta, inoltre, di un documento programmatico cui devono seguire atti normativi veri e propri la cui gestazione, abbiamo visto, è sempre lunga e complicata. Poi bisogna che i provvedimenti diventino operativi e si arriva come minimo a inizio giugno. Non proprio un cambio di passo nel metodo ma neanche nel merito, visto che sempre di soldi a pioggia si tratta, peraltro insufficienti a coprire le perdite effettive, di blocco dei licenziamenti e di proroga della cassa integrazione. La vera differenza tra il nuovo governo e quello di Conte è che Draghi, oltre ad avere una credibilità indiscutibilmente superiore a quella del suo predecessore, ha la fortuna di essere arrivato in un momento in cui la fornitura di vaccini, anche per merito suo, comincia ad essere più poderosa ed affidabile.

 

 

Il piano messo in piedi dal generale Francesco Paolo Figliuolo e dal capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio non fa una piega, sembra funzionare e ha trovato grande sintonia nell'azione che sta portando avanti il ministro Maria Stella Gelmini per evitare che le Regioni vadano in ordine sparso. Così come un salto di qualità c'è senza dubbio stato nei rapporti con l'Ue, dove la voce dell'Italia è tornata ad essere rilevante ed ascoltata, determinata e non passiva. Se davvero dalla seconda metà di aprile le dosi somministrate saranno 500mila al giorno, i punti di vaccinazione già aumentati del 25% e se entro settembre l'80% della popolazione sarà vaccinato, la ripresa è alle porte e possiamo tornare a programmare il futuro. Che significa riaperture, fiducia, consumi e investimenti, quindi crescita del Pil. Forse allora, quando non ci sarà più bisogno di "sostegni", vedremo il vero Draghi in azione, evidentemente più portato alla programmazione di lungo periodo che alla gestione dell'emergenza economica. La stessa determinazione mostrata sui vaccini e nei confronti della Lega servirà per il Recovery Plan.

 

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