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Coronavirus, si svuotano le culle e si riempiono le bare: l'inverno demografico spiegato da Renato Farina

Renato Farina

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L'atmosfera è di quelle che meriterebbe due versi secchi di Giuseppe Ungaretti sul Carso. Essendo il grande poeta ermetico scomparso dalla scena di questo mondo, qui tocca accontentarsi di un surrogato. Può andare «Si svuotano le culle/si riempiono le bare»? C'è che - a dispetto della primavera radiosa che indifferente ai nostri dolori smalta di fiori il Bel Paese dantesco - siamo in pieno inverno demografico. C'è una gelata delle nascite come non si era mai registrata da che l'Italia è diventata uno Stato Unitario. Scrive lapidariamente l'Ansa: «Nel 2020 si registra un nuovo minimo storico di nascite dall'unità d'Italia, e un massimo storico di decessi dal secondo dopoguerra. -3,8% la diminuzione delle nascite: quasi 16 mila in meno rispetto al 2019. Nel 2020 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 404.104 bambini. +17,6% l'aumento dei decessi: quasi 112 mila in più rispetto al 2019. Nel 2020 sono state cancellate dall'anagrafe per decesso 746.146 persone.

 

 

Lo rileva l'Istat nel report "La dinamica demografica durante la pandemia covid-19-anno 2020" diffuso oggi». Continua il funereo testo: «Al 31 dicembre 2020 la popolazione residente è inferiore di quasi 384 mila unità rispetto all'inizio dell'anno, come se fosse sparita una città grande quanto Firenze. Gli effetti negativi prodotti dall'epidemia Covid-19 hanno amplificato la tendenza al declino di popolazione in atto dal 2015». Gli storici fanno notare che già durante la «spagnola» tra il 1917 e il 1918 i morti superarono i nuovi nati. Ma non c'è paragone che tenga tra le due pandemie quanto a vittime italiane. Allora si superò il milione (senza contare i caduti sul fronte), il Covid sta a 100mila morti. Eppure siamo - arrotondiamo per comodità - a 400 bebé contro 700mila cari estinti. Se va avanti così, come tutto lascia prevedere, sarà il caso di ristrutturare i reparti di ostetricia in obitori, indirizzando i giovani verso una professione sicura: il becchino.

VIRUS DELL'ANIMA
Verrebbe da scherzare, sul fatto che il Covid ha intaccato i polmoni dei vecchi e i genitali dei giovani. E che la distanza sociale implica per ragioni fisiologiche un problema tecnico. Magari fosse così semplice, ma ci sono malattie del desiderio e cali della speranza che non si guariscono con un vaccino. Esistono virus dell'anima che sono più tenaci del Corona. Urge uscirne. Salvo che non si voglia la sparizione del popolo italiano. So bene che c'è chi si compiace dello spopolamento, perché crede che in pochi si stia meglio. La storia insegna che se si è in pochi si muore. E i popoli sono sostituiti.

 

 

La teoria del Club di Roma che predicava il blocco della fertilità onde consentire la felicità a un numero ridotto di persone con maggior agio di godersi i beni e preservare la dolce natura, si è rivelato una gigantesca fesseria. Neo-malthusianesimo del cavolo. I popoli hanno ciascuno una identità prevalente. Ci sono quelli che hanno una molla interiore che li porta a credere nel futuro=figli, e per questo emigrano, partono verso l'avventura, invadono persino, alzi i muri ma li superano. E quelli che invece si spengono. Il declino della demografia è segnale di vecchiaia, di solito cattiva, che finisce in morte violenta. L'invasione barbarica ha spopolato l'Italia perché nel terzo e quarto secolo stava morendo da sola. Ha resistito un nucleo che amava la vita, intorno alle abbazie benedettine, che riuscirono a conservare i semi della civiltà classica innestandoli sul cristianesimo che seppe coinvolgere i nuovi popoli, come profetizzò Sant'Agostino.

I RIMEDI
C'è un problema. È talmente forte il vuoto di speranza presente nella nostra società, con la generazione dei sessantottini che ha inquinato di delusione precoce figli e nipoti, che persino gli immigrati da noi si sono adeguati all'infertilità, e neppure loro fanno figli. Ogni donna italiana ha un tasso di fertilità intorno a 1,15, ed è il più basso nella storia dell'umanità, e forse persino nei conventi medievali si facevano più figli che nell'Italia del sesso libero (battutona a uso degli anticlericali). Le signore signorine straniere giunte tra noi, lo spostano di pochissimo in su. Certo occorrono politiche demografiche adeguate. In questo senso le proposte soprattutto di Giorgia Meloni per il sostegno alla natalità, con forti incentivi fiscali alle famiglie che osano provare a riempirsi la casa di marmocchi, asili nido gratuiti, assegni famigliari cospicui ed esentasse, sono fondamentali. Ma c'è qualche cosa d'altro che non può essere sostituito da un welfare perfetto.

 

 

È che ci sia qualcuno capace di comunicare un po' di felicità. Io penso che questo sia un compito dei vecchi, che oggi sono trascurati, scartati e chiusi negli ospizi, penalizzati orrendamente nella selezione dei vaccinandi. Cosa possono insegnare. La memoria. Ci hanno messo al mondo perché desideravano essere felici e non si è mai felici se si progetta la sterilità. Rimettiamo al centro i vecchi. Il sorriso di un anziano fa rinascere la voglia di vivere. Ci aiuta l'etimologia. In sanscrito, e poi in greco, felicità coincide con fecondità e fertilità. Felix significa fecondo, fertile. È l'esperienza non di un nichilista «attimo fuggente», ma di qualche cosa che getta luce sul per sempre. Dice la Treccani che la radice indoeuropea «foe» o «fe» è passata nel greco a formare le parole fecondo e feto. E da qui al latino. La soddisfazione, la pienezza della vita coincide con la fecondità, con la trasmissione della vita da intendersi non soltanto come prosecuzione della specie ma verde germoglio del «senso della vita», dove senso significa direzione e significato. Insomma. Per uscire dall'inverno demografico, come scrisse un altro poeta, Brunello Mucci, bisogna puntare sulla testimonianza dei nonni: «Primavera è due vecchi/ che si vogliono bene».

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