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Matteo Renzi al Tg2Post cita Libero e Filippo Facci: "Sconvolto leggendo questo articolo", badilata alla sinistra

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Matteo Renzi è stato ospite al Tg2Post, dove ha commentato un articolo di Filippo Facci pubblicato su Libero e riguardante la celebre scena dell’Hotel Raphael e delle monetine contro Bettino Craxi. “Io sono rimasto sconvolto leggendo questo articolo - ha dichiarato il leader di Italia Viva - il vostro collega ha riportato la tesi di un professore universitario che quel giorno era in piazza. Secondo lui bisognava avere il coraggio di andare fino in fondo, di ammazzare Craxi. Lunedì presenterò un’interrogazione parlamentare alla ministra dell’Università per capire che provvedimenti intende prendere se davvero questo professore ha detto tali frasi”. 

Di seguito l'articolo di Filippo Facci, uscito nell'edizione del 30 aprile di Libero

La scena dell'Hotel Raphaël e delle monetine contro Bettino Craxi la conoscono anche i più giovani, ma a loro sembra una protesta come tante, non conoscono il nesso tra un prima e un dopo, è come se fosse il trailer di un film che non hanno visto. Non si trova documentario su quel periodo che abbia quelle immagini come epicentro: ma quanti - vi è da chiedersi - sanno che la notizia del tentato linciaggio non fu neppure pubblicata sulle prime pagine dei giornali? Né il giorno dopo né i successivi. Il simbolo di quegli anni: ma neanche una riga. Anche l'unica foto, poi vista e rivista negli anni a venire, fu scattata da un freelance che si era arrampicato sulla pedana del ristorante Santa Lucia, affianco all'hotel. Dobbiamo tutto al Tg4 e alle telecamere Rai di Mixer, immagini sgangherate e sbollate come ad anticipare youtube. Un salto verso il futuro come lo furono la trascrizione di centinaia di telefonate o telegrammi giunti nelle redazioni dei giornali e pubblicati senza filtri, futuro popolo di internet. Non era mai capitato che la residenza privata di un personaggio pubblico (Craxi abitava all'Hotel) fosse cinta d'assedio per una decisione votata dal Parlamento. Quel giorno finì la politica e iniziarono le forme della sua assenza: la tecnocrazia, l'illusione della società civile, la pan-penalizzazione della società italiana, il neopopulismo, il declino, l'impoverimento del Paese; le piazze diventarono virtuali e l'odio e l'invidia sociale nascosero la mano nella solitudine domestica: la famosa folla solitaria. Doveva comunque succedere, probabilmente: è cambiato tutto, ma solo da noi è cambiato in questo modo.

 

 

L'ANNO ZERO
Spariti interi partiti, istituzioni, simboli, reputazioni, rispetto dei ruoli, soprattutto si è smembrato quel poco di tessuto civico che la nostra giovane democrazia aveva faticosamente ordito, e che il detersivo rivoluzionario ci ha restituito bianco e pulito come un cencio inservibile. Siamo tornati a un misterioso anno zero. Chissà, magari andrà meglio. Nell'attesa, sappiamo che il nostro è l'unico Paese europeo che non ha (più) un partito liberale, socialista, verde o democratico cristiano. Il debito pubblico si è più che triplicato, il ceto medio si è proletarizzato, la crescita economica è all'ultimo posto d'Europa, le aziende più importanti sono espatriate o sono state vendute, quelle rimaste sono state maltrattate da una classe dirigente a dir poco neofita. Mancano i politici mentre «politica» e «politici» continuano a essere termini dispregiativi. Spesso si incolpa un recente passato per giustificare il presente. Spesso, per esempio, si incolpa Craxi. Sul quando e sul dove ebbe inizio il piano inclinato dal quale cominciammo a rotolare si possono avere idee diverse, ma non su una cosa: la scena del Raphaël fu un linciaggio «simbolico» solo perché non riuscì.

 

 

Fabrizio Rondolino, al tempo giornalista dell'«Unità», era lì fuori: «Il clima cambiò di colpo, ero spaventato, cominciai a indietreggiare, c'era sempre più gente. Vedevo i fascisti, tanta gente mai vista, senz' altro anche tanti militanti che venivano dal comizio di Occhetto Io avevo militato nei giovani comunisti, di manifestazioni ne avevamo fatte tante anche contro Craxi, ma quella era una cosa completamente diversa». Un agente della scorta: «C'era una tensione fortissima nell'aria. Noi sotto al Raphaël ad aspettare che il Presidente scendesse; d'un tratto iniziarono ad arrivare persone provenienti da Piazza Navona e da altre viuzze del centro, poco dopo è sopraggiunto il dirigente del commissariato di zona seguito da altri colleghi. La gente iniziava ad essere veramente tanta e in un attimo alcuni di loro cominciarono ad urlare, altri a sputare e inveire verso di noi». I gruppi furono tre: una maggioranza pidiessina proveniente dal vicino comizio di Achille Occhetto, una minoranza di missini sopraggiunti dalla vicina via della Scrofa, infine una minoranza di gente di passaggio, mentre i leghisti furono bloccati in piazza Zanardelli. Il missino Teodoro Buontempo reggeva due sacchettini cambiati nella tabaccheria di un camerata: 10 mila lire, 100 monete, poca roba rispetto alle 250mila lire che rimasero infine per terra.

E intanto nessuno riusciva a dissuadere Craxi: «Io da dietro non esco». «La macchina è pronta?». «Sì». «Bene». Una pausa. «Allora andiamo». Craxi caricò la giacca blu sulla spalla e diede alla porta un calcione tipo saloon, ed era fuori. Alle 20:05 fu un boato, un'esplosione, un unico grido ininterrotto, tre poliziotti in borghese anticiparono di corsa Craxi che uscì subito dopo mentre volavano sassi, sampietrini, monetine, accendini, pezzi di vetro, bottiglie di plastica, un ombrello: «Eccolo, eccolo», urla la cronista di Mixer, «tirano di tutto, stanno tirando di tutto». Tre faretti di telecamere illuminano la scena, Craxi sale in auto per primo, dietro, sulla destra, poi segue l'autista Nicola alla guida con a fianco Cicconi - che ha la testa sanguinante - e ancora dietro, sulla sinistra, c'è il fido Luca Josi, che si è preso qualcosa in un occhio. I poliziotti in borghese si muovono qua e là e fermano degli esagitati che cercano di arrivare alla macchina, si lanciano in avanti, poi la Thema parte, sgomma e fa partire incalza la sirena, e poi sono pugni sul vetro, calci, colpi di casco e sassi sulla carrozzeria, d'un tratto non c'è più nessun filtro tra l'auto e i dimostranti, i poliziotti sono spersi, travolti, impegnati a bloccare la pressione dei dimostranti a destra e a sinistra, Craxi sorride rivolto al finestrino. «Tiratori di rubli», mormora. «Dopo di questo», si chiede. «Che cosa c'è ? Oltre questo, che cosa c'è?». La folla tentò in tutti i modi di bloccare le macchine in fuga, molti le hanno rincorse, ma questo nei filmati non si vede. , perché le immagini si interrompono prima.

LE DICHIARAZIONI
Secondo l'autista Nicola Mansi, invece, «la polizia non fece nulla». Stando a un'agente della scorta: «Ci buttarono addosso monetine, sampietrini, mattoni, sassi, bottiglie, sputi e tutto ciò che trovavano nelle tasche o ai loro piedi». Ancora Rondolino: «Quella sera davanti al Raphaël capii che cosa effettivamente fosse il giustizialismo, che cosa fosse Mani pulite, che cosa fosse l'anticraxismo che Berlinguer ci aveva insegnato e che Occhetto andava coltivando: nient' altro che una folla inferocita che tenta il linciaggio». Anche Pino Ciocioli di «Avvenire»: era lì: «F u una cosa violenta, molto violenta. Probabilmente quella sera qualcosa è finito, e qualcos' altro è cominciato. Ancora Rondolino: «I poliziotti erano pochi, troppo pochi. Io non avevo temuto per Craxi, ma per me. Fossimo stati in America, dove le armi circolano più facilmente, forse qualcuno gli avrebbe sparato. Io non l'avevo mai visto, un linciaggio». Tra la folla c'era anche uno dei pochi testimoni che ha avuto il coraggio di ammetterlo anche molti anni dopo: fu persa l'occasione storica di uccidere Craxi.

 

 

Costui, Piero Vereni, nel 1993 era uno studente neolaureato, ma oggi è professore di antropologia all'Università di Tor Vergata: «Le monetine sono state evidentemente troppo poche, e gli insulti pure. Dovevamo fare di più L'uccisione rituale del sovrano è una pratica comune a tutte le culture, di tutti i tempi Quella sera, per parlare spiccio, stavamo facendo fuori il re, e in questo non c'è nulla di male o di sbagliato. Ma vorrei andare oltre e mi chiedo: cosa sarebbe successo se ci fossimo veramente impossessati del corpo di Bettino? Se lo avessimo fatto a pezzi sul serio, se l'avessimo magari mangiato a brani (era grande e grosso, ce n'era per tutti)? Io dico che alcuni di noi sarebbero morti negli scontri, altri andati in galera, ergastolani, ma il paese ne avrebbe beneficiato: avremmo dichiarato, scrivendolo sul corpo del potere, l'irrevocabilità di quello che stava succedendo Mani Pulite non fu quel Terrore che stanno spacciando la nostra controreazione doveva essere altrettanto simbolica: tu vuoi fregartene ma io ti sdereno, ti smantello, ti annullo. Quella sera, insomma, non stavamo facendo altro che il nostro dovere di italiani Il nostro vero errore è stato quello di non andare fino in fondo. Dovevamo sbranare Craxi, avremmo dovuto farlo fuori a pezzi, gettare le sue (mi immagino lunghissime) budella sulla porta del Raphaël e trascinarle fino al Parlamento. Poi la polizia avrebbe (giustamente) fatto il suo dovere, ammazzato i più assatanati direttamente sul posto, e portato via un bel po' d'altri Avremmo quindi dovuto andare fino in fondo. Sacrificare Craxi e qualcuno di noi in nome del paese, per far capire a tutti che era finita Io c'ero. E come tutti quelli che fanno la storia, non ho capito che occasione avevo per le mani».

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