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Vittorio Feltri, se muore un amico ti spegni anche tu: addio a Telmo Pievani, il ricordo del direttore

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Non è una novità che tutte le creature prima o poi muoiano, dobbiamo rammentarlo sempre. Due giorni fa se ne è andato Telmo (Dietelmo) Pievani, artista di meritata fama, che ha lasciato il segno nella pittura e nell'architettura. Tra l'altro era zio di un famoso filosofo ed evoluzionista che portava il suo nome e cognome. Buon sangue non mente mai. Aveva 86 anni e per molto tempo, quando muovevo i miei primi passi nel mondo dei giornali, era mio amico, poi ci siamo persi di vista, succede, cambia la vita, cambiano le abitudini e i luoghi di residenza. Il suo trapasso oltre al dolore e alla nostalgia della giovinezza, mi dà lo spunto per una riflessione di cui voglio rendere partecipi i lettori.

 

 

 

Telmo oltre a essere molto intelligente era anche simpatico. Una volta in un ristorante di Bergamo alta rivolse un complimento pesantuccio a una ragazza. Le disse bella figa. All'epoca l'espressione non era scandalosa quanto ora, udendola nessuno, a differenza di oggi, si stupiva. Ma la signorina in questione si offese e coprì di improperi Telmo: villano, cafone, come ti permetti di dire roba simile. Lui lasciò che la fanciulla si sfogasse, poi ribadì il concetto: bella figa lo stesso. Lei rise e il contenzioso si concluse. Pievani frequentava volentieri bar e trattorie, e io pure, tant' è che lo accompagnavo da un locale all'altro e aggiungevo il mio bicchiere di vino bianco al suo altrettanto stracolmo.

Bere e fumare era una abitudine orobica a cui pochi si sottraevano dalle nostre parti. Adesso che il mio amico è morto a 86 anni mi domando perché ricorrere all'alcol e campare disordinatamente siano considerate scorciatoie verso il cimitero. I fatti dimostrano il contrario. Mio nonno Daniele trincava un secchio di vino al giorno, fumava sigari in quantità industriale eppure se ne andò all'altro mondo a 87 anni a causa di una gamba malandata. Insomma, piano con le condanne ai vizi e pensiamo piuttosto che tutti noi a forza di vivere, bene o maluccio, finiamo per esalare l'ultimo respiro. Invecchiando arrivano i malanni e questi ci uccidono. Il resto non conta o conta poco. Il mio non vuole essere un incoraggiamento ad abusare di liquori e distillati, ma soltanto un invito a non demonizzarli quali fossero l'unica causa dei decessi. C'è ben altro a minare la nostra salute, gli eccessi alimentari, l'obesità, l'insonnia, le insoddisfazioni professionali, le liti in famiglia, le ribellioni dei figli.

 

 

 

 

Spesso la vita logora in modo esiziale. Pievani e io non siamo stati angioletti eppure non è lo stile esistenziale ad averci distrutto bensì l'avanzare inesorabile dell'età. Io ho 78 anni suonati e strimpello ancora il pianoforte, mentre il mio amico Bergamelli, che ha compiuto i novanta, massacra ancora la tastiera quale jazzista di prima qualità. Recentemente mi sono sottoposto a un esame con il liquido di contrasto e il risultato è stato che non ho niente, il mio corpo funziona ancora nonostante da oltre 60 anni fumi più sigarette che posso. Ovvio che anche io tirerò le cuoia come chiunque, ma quando succederà sarà perché sono cotto e non affumicato. Saluto Pievani con affetto immutato nel ricordo delle nostre serate all'osteria, durante le quali, come recita una canzone così così di Gino Paoli volevamo cambiare il mondo, devo dire con successo, visto che è peggiorato ma non troppo. L'umanità è sempre la stessa, fa schifo. 

 

 

 

 

 

 

 

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