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Pietro Senaldi e il caso Durigon: "Così ora la sinistra proverà mettere fuori gioco anche Salvini" 

 Claudio Durigon

Pietro Senaldi
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Durigon minga. Il sottosegretario dell'Economia leghista si è dimesso. Per chi ancora non lo sapesse, era finito in croce per aver manifestato l'intenzione di restituire al parco della sua città l'antico nome, quello di Arnaldo, fratello di Mussolini. Non è stata una gran pensata, anche perché nel frattempo il giardino pubblico era stato rinominato e dedicato a Falcone e Borsellino, pm anti-mafia invisi alla sinistra quando erano in trincea e onorati da morti da chi voleva intestarsi un po' della loro gloria.

 

 

L'antifascismo militante che ha costretto Durigon al passo indietro, accusandolo di nostalgie pericolose, ai tempi riteneva poco democratici anche i due magistrati dietro i quali oggi nasconde la voglia di assestare un calcio a Salvini. Sarebbe illusorio pensare che, ottenuta la testa del leghista, Letta e soci ora si accontenteranno; al contrario, ne trarranno linfa per nuove e più violente offensive perché il loro obiettivo non era difendere la democrazia, ma dare un calcio nel sedere a Salvini. I compagni sono come i talebani, mostrano la faccia ragionevole per ottenere quel che vogliono ma l'incasso non basta mai. Hanno una violenza naturale che li porta a disprezzare l'avversario e ritenere di aver sempre ragione. Sono in preda a un delirio che è pericoloso assecondare.

 

 

Trasformano le loro debolezze in aggressività e conoscono solo la legge della violenza, della quale sono massimi maestri. Claudio Durigon cade per una frase che avrebbe dovuto risparmiarsi. Non ha calcolato che il fascismo in Italia c'è ancora, e non sta nei parchi. È rosso e non perdona. Chi ha combattuto davvero il fascismo, con le armi in pugno e rischiando la vita, Pertini, Pajetta, Togliatti, ha tollerato per decenni che il parco di Latina restasse intitolato al fratello di Mussolini, senza ritenere che questo minasse la democrazia. Ma gli anti-fascisti da salotto se ne fregano della lezione dei loro maestri e ignorano la parola riconciliazione; tanto meno sanno cosa sia la concordia nazionale, malgrado per interesse, loro e non del Paese, governino con la Lega e Berlusconi.

 

 

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