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Romano Prodi smascherato, le sue finte lacrime: ecco che gioco sporco nasconde il suo libro

Renato Farina
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Il titolo dell'autobiografia di Romano Prodi, scritta con Marco Ascione, dice: «Strana vita, la mia» (Solferino, p.226, 17,50). Aggiunge che è stata, la sua, un'esistenza «fortunatissima». E ce ne compiaciamo sinceramente. Di certo è stata più strana e non del tutto fortunata la vita degli italiani a ritrovarselo sempre e comunque a comandarli. Il Professore del resto non si domanda mai se abbia causato felicità o sofferenza al prossimo, inteso come singolo o come massa, guidando l'Italia e l'Europa. Non si pone neppure il quesito, tant' è ovvia la risposta. Siccome in lui è sempre stato preponderante il «Fattore "C"» (lo scrive esplicitamente) è convinto di averne trasmesso i grassi frutti al popolo quando lui ha avuto in mano il potere, e sfortunate le genti e i partiti (in particolare il Partito democratico) che non lo hanno scelto come imperatore a vita. Il volume, ben scritto e svelto da leggere, è pieno di sonagli per catturare la simpatia di tutti, anche degli antichi avversari.

In apparenza è un compendio del passato, come si sarebbe portati a pensare, avendo egli 82 anni, auguri per arrivare a 100. Il significato non tanto recondito non è «la vanita», come con autoironia ammette egli stesso quale sua caratteristica da pavone della Bassa emiliana, magari fosse di non ha mai perdonato il Divo. Non che l'abbia scelto, ma che l'abbia mollato dopo quattro mesi (1979). Oltretutto con un bigliettino dove lo liquidava in tre righe senza un grazie. Prodi è permaloso. Non si segna nella memoria i doni ricevuti, ma cerca poi di uccidere chi gli ha portato via il giocattolo che gli piaceva tanto.

 

 

 

Nel libro il sette volte premier è nominato cinque volte. Appare solo per i torti che gli avrebbe fatto. Non è un caso isolato Sono le recriminazioni a caratterizzare questo libro. Le ascese sono merito suo, le cadute colpa degli altri. Si ritiene immensamente superiore moralmente a chiunque, specie a Berlusconi, che pure degna di qualche simpatico buffetto. Ecco come racconta la differenza tra sé e il Cavaliere: «Il cattolicesimo adulto e non esibito (Romano) e la fede narrata e vissuta in maniera guascona (Silvio). Accorto e composto uno, seppure con un notevole gusto per la battuta affilata, libertino e sfrenato l'altro, con una incontenibile propensione a sfumare le tensioni con le barzellette. E soprattutto: Prodi è l'unico leader del centrosinistra ad aver battuto per due volte Berlusconi».

 

 

Ah sì, ha vinto due volte (1996, 2006), ma poi gli hanno stracciato il biglietto della lotteria. Uh come si arrabbia tuttora. Sono le lacrime di Prodi. A proposito di questo distillato oculare, se ne possono individuare nel protagonista varie tipologie. La più caratteristica è la lacrima vicaria. Lui piange non su di sé ma mettendosi nei panni degli altri che, poveretti, non ne hanno goduto abbastanza il dominio. L'idea di fondo è questa. Allontanandolo dal governo nel '98, a metà del suo cammino naturale, gli italiani non sanno di che miracolo avrebbero goduto. Peccato che Prodi fece in tempo in quei due anni e sei mesi del primo suo governo ad appiopparci l'ingresso nell'euro a condizioni da spararsi nelle tempie, e il perché lo si capisce constatando l'esplosione dei prezzi appena la creatura impostaci da Prodi è diventata disgrazia del nostro Paese.

La seconda volta il governo Prodi è durato un quarto rispetto al quinquennio previsto, e anche lì il Professore si lamenta del trattamento da lui ricevuto. E chi incolpa? Non la stramberia di aver voluto circondarsi di estremisti invece di aprire a una maggioranza più larga dopo la striminzita e dubbia vittoria per 24mila voti, ma ha la faccia tosta di imputare a Walter Veltroni la sua dipartita. Colpa di aver fondato il Partito democratico e di esserne diventato il leader: «La sua elezione a segretario apparve subito propedeutica alla guida di un nuovo esecutivo. Ma come si fa a fare un passo del genere tre anni e mezzo prima della fine della legislatura?». Insomma ce l'ha a morte con il Pd. Che non sa cos' ha perso e ha fatto perdere agli italiani negandogli la salita al Quirinale nel 2013.

Trattasi del tradimento dei 101 compagni, che dopo avergli assicurato l'elezione si astennero dallo scriverne il nome sul foglietto, lui che era rientrato festoso dall'Africa per lasciarsi incoronare e dovette dislocarsi a Bologna. Da allora ha insistito in un'attitudine che aveva manifestato da un decennio e più: si è impegnato a sostenere in tutte le maniere più che l'Italia la Cina, con cui vanta rapporti di insegnamento e di consulenza, questi ultimi allo scopo di ingrandire porti e commerci con il nostro Paese. Gli esperti dicono che restano sulla carta. Prodi funziona, come del resto l'ex ministro D'Alema, come lasciapassare in Italia presso la sinistra dei desiderata di Xi Jinping. Ci sono altre lacrime che gli occhi di Prodi distillano in questo libro e sono quelle tipiche dei gattoni che si sentono il topo in bocca. Il topo è l'alleanza tra Pd e M5S che lui ritiene sacrosanta ma solo a condizione che benedica lui alla presidenza della Repubblica. Per questo elogia Letta, e ha parole affettuose per Conte. Attenzione. Prodi ha dalla sua una bonomia e una parlata che lo rendono alla fine simpatico persino a chi non è catto-comunista, catto-adulto o catto-cinese. Come ha scritto Edmondo Berselli a suo tempo, è un uomo che «gronda bonomia da tutti gli artigli».

L’uomo infatti è straordinariamente vendicativo, non solo con personaggi del suo conclamato livello eccelso, ma anche con i pesci piccoli. Fatto personale.Mentre era presidente dell’Iri per la prima volta, i vescovi lo vollero come eminenza nel settore della solidarietà sociale, chi scrive osò qualificarlo come cattolico di etichetta più che di sostanza per il taglio dei dipendenti da lui operato come il coltello fa con il morbido burro. Prodi non si arrabbiò con lo scrivente, andò direttamente a piangere dal cardinale Ruini, ottenendo di farsi ricevere, attraverso il segretario Dziwisz, da Giovanni Paolo II. Andò a farsi consolare e lodare. Il segretario del Papa, commosso a sua volta, cancellò mio figlio dalla prima comunione che avrebbe dovuto somministrargli il Santo Padre. Andò tutto a monte. Spero che a lui vada a monte il Colle.

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