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Pnrr, il governo elimina filosofi e letterati: per il piano di rilancio assunti solo tecnici e matematici

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Gianluca Veneziani
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Orsù, venghino signori ingegneri e signori economisti. Ne cerchiamo 500, ripetiamo, 500. Sarete arruolati nella gestione dei fondi di quell'acronimo mostruoso chiamato Pnrr, roba da "compro una vocale", o se preferite per esteso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (altra parola mostruosa). Ma tanto che ci importa delle aberrazioni linguistiche: noi non cerchiamo mica laureati in Lettere, Storia, Filosofia e altre stantie discipline umanistiche. No, noi cerchiamo solo tecnici, gente con competenze in Matematica, Informatica ed Economia, gente che sa far di conto e non crede alla bellezza di un racconto, gente che sa a menadito cos' è lo spread e il digital divide, non vecchie carcasse che studiano ancora il latino. È questa la Pubblica amministrazione, bellezza. O almeno è questa la Pubblica amministrazione sognata dal governo Draghi che, col bando in scadenza oggi, ha arruolato 500 laureati, tra economisti, ingegneri, matematici, informatici, giuristi e statistici, allo scopo di «rilanciare il Paese e portarlo nell'Italia di domani», come si sente in uno spot in questi giorni in onda sulle reti Rai (che poi, «portare il Paese nell'Italia» è un'espressione priva di senso, dato che il Paese è già l'Italia. Ma la conoscenza dell'italiano non serve per vincere il concorso, tutto torna...).

 

 

 

Prima contare, poi pensare

Tra gli assunti, destinati al ministero dell'Economia e delle Finanze e a tutte le amministrazioni, tra altri ministeri ed enti, titolari di interventi previsti nel Pnrr (al ministero della Cultura ne andranno 20), non c'è, neppure per sbaglio, un laureato in Lettere classiche o moderne, Scienze filosofiche, Scienze storiche e sociali, Beni culturali e archeologia o Storia dell'arte. Al governo e ai suoi ministri servono solo persone in grado di progettare, contare, calcolare, misurare, eseguire, dirimere controversie, nessuno in grado di parlare, argomentare, pensare, creare, immaginare. Questa è la morale. E ciò è favorito dalla gestione del Pnrr tutta a trazione economica, tanto che il coordinamento centrale del Piano è incardinato al ministero dell'Economia. A ulteriore conferma di una visione tecno-finanziaria di chi ci governa, sommata a quella burocratica tipica della Pa e dimentica dell'anima profonda, culturale, letteraria, spirituale ed estetica del nostro Paese. Questo approccio in primo luogo fa a pugni con l'"annuncite" cronica di premier e ministri vari che, a parole, si riempiono la bocca di Cultura e della necessità di investire in essa. Si riascolti Draghi che lo scorso luglio ha definito la cultura «cruciale per far ripartire il Paese» o il ministro Franceschini che in più occasioni ha sentenziato: «La cultura riparte grazie al Recovery», e ancora «Ripartire subito, la cultura è il vero motore». Tanta retorica, poca sostanza. La conventio ad excludendum nei confronti di chi ha il torto di essersi laureato in materie umanistiche contrasta poi con la quantità di denari che pure sono stati destinati a Cultura e Turismo nel benedetto Pnrr: la bellezza di 6,68 miliardi, una cifretta mica male che forse andrebbe gestita da persone competenti in quel settore. Quando poi leggi però che, tra gli obiettivi dell'erogazione di soldi a quel settore, c'è lo sviluppo di servizi digitali da parte di imprese culturali, la promozione della transizione digitale delle imprese creative e la conservazione in rete delle immagini delle opere d'arte (tutte azioni interessanti, per carità), capisci che anche la Cultura è stata ridotta da questo esecutivo a una faccenda informatica. Dalla Téchne come Arte alla Téchne come Tecnologia. Ma soprattutto lo scarso o nullo investimento in risorse umane e intellettuali figlie di una formazione umanistica fa un torto alla storia e al futuro di questo Paese, che ha il patrimonio culturale più grande al mondo e di esso potrebbe fare vera ricchezza non solo per riscoprire la propria identità passata ma anche per ripartire. Ci sarebbe bisogno di menti pensanti, di intelletti creativi, di profondi conoscitori della nostra storia letteraria e artistica per "vedere" e realizzare il Paese di domani. E invece ti intristisce scoprire che, tra i vari bandi, al momento sono state richieste solo 5 figure di archeologi con laurea in Beni culturali o con indirizzo archeologico, per comporre la Soprintendenza Speciale prevista nel Pnrr (i restanti 30 professionisti arruolati sono architetti, avvocati e ingegneri). 5 archeologi, capite: una miseria. Né risultano altre figure provenienti da studi in materie umanistiche reclutate nei comparti della Pubblica amministrazione per gestire il Pnrr (anche nel portale di reclutamento in Pa si cercano soltanto «profili tecnici e gestionali», appartenenti a ordini professionali, con esclusione quindi ancora una volta degli umanisti). Questo andazzo crea un'oggettiva discriminazione tra chi ha la vocazione oil fiuto di frequentare corsi in discipline economiche, giuridiche, informatiche o matematico-ingegneristiche e chi invece ha la "sventura" di laurearsi in Lettere o Storia e filosofia. Non sorprendiamoci poi se i dottori in materie umanistiche da noi restano disoccupati e sfiduciati, pur essendo quelle facoltà appetibili (nell'anno accademico 2019-2020 questi corsi di laurea hanno fatto registrare un +3,3% di immatricolazioni).

L’appello

Per rimediare al vuoto di figure ferrate in cultura classica, latino, conoscenza e tutela del nostro patrimonio artistico, facciamo quindi un appello al governo affinché lanci un nuovo bando, stavolta riservato solo a chi ha scelto di formarsi in quelle che nel Medioevo erano chiamate le arti del Trivio (lingua latina, retorica, filosofia) e non nelle arti del Quadrivio (le scienze matematiche) o nelle cosiddette arti meccaniche. Servirebbe non solo a evitare di creare figli e figliastri, ma anche a offrire una visione organica del Paese in cui, come nell’apologo di Menenio Agrippa, ciascun membro coopera al buon funzionamento di tutto il corpo: se le figure sanitarie di medici e infermieri sono state fondamentali nella fase dell’emergenza, e se economisti, ingegneri ed esperti informatici sono essenziali per fare progetti, usare bene i soldi e favorire il passaggio al digitale, gli umanisti sono decisivi per intendere il Pnrr anche come un Piano Nazionale di Ricordo e Rinascimento, che tenga dentro la fedeltà alla tradizione e cerchi di custodirla e ripeterla, in una sorta di Ritorno al Futuro.

 

 

 

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