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Maurizio Landini, lo sciopero a scuola fa flop. Renato Farina: sinistra finita

 Maurizio Landini

Renato Farina
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In questo deserto pre -natalizio così spoglio di speranza è miracolosamente spuntato dall'arido suolo una buona notizia, forse addirittura due. La prima è che lo sciopero generale della scuola indetto dalla Cgil e altre otto potenti sigle è clamorosamente fallito. Uno su venti tra i destinatari si è accodato alla tronfia direttiva dei luogotenenti di Maurizio Landini. Non è per pregiudizio antisindacale che ce ne rallegriamo (anzi un po' sì, e comunque viva la Cisl che si è tolta dal mazzo) ma perché trattasi della prima batosta solenne, inflitta dalla propria non più servizievole base, alla piovra che da decenni a pieni tentacoli ha strozzato e ancora soffoca il futuro delle nuove generazioni, garantendone ignoranza e disuguaglianza. L'eloquenza dei numeri dice che quegli apparati non controllano più le coscienze, specie dei docenti, finora servili o impotenti davanti a una dittatura che per i dissidenti prevedeva una emarginazione da rito voodoo. Non ce lo inventiamo: la scrittrice e professoressa Paola Mastracola lo ha denunciato, raccontando il trattamento subito per aver osato mettersi di traverso ai dogmi progressisti nel suo liceo torinese. E dire che lei era ed è di sinistra: figuriamoci cosa capita a chi non ha neppure questa corazza. Chissà mai che la musica cambi.


DA 50 ANNI LA SOLITA SOLFA - Le organizzazioni - Cgil, Uil, Snals e Gilda- hanno dimostrato di avere un consenso di pasta frolla, equivalente alle tessere dei morti nelle vecchie storie della Dc: esse radunano sulla carta il 70,48 di insegnanti, dirigenti, impiegati amministrativi, tecnici e ausiliari (bidelli) del settore pubblico. Questa rappresentanza le fa essere arci-dominanti, con un potere da esercito di occupazione. Lo stato maggiore è insediato nel gabinetto decisionale, da lì ufficiali di raccordo si distribuiscono meticolosamente nei meandri del ministero dell'Istruzione (Miur) come commissari politici: scrivono programmi, dettano le linee pedagogiche, insomma comandano di fatto le giovani teste di oggi e di domani, posandoci sopra il loro manto rosso. È da forse cinquant' anni che va così. Ed ecco alla verifica della curda realtà: puff. Il popolo dei no-sciopero ha usato il pungiglione. Il pallone si è sgonfiato. La mongolfiera è venuta giù come un sacco di patate. Alla protesta ha aderito infatti il 5 per cento o secondo i calcoli più generosi il 6,25 dei salariati del comparto. Insomma su 924.592 tra docenti & C. - e lo scrive Tuttoscuola che se ne intende- non si sono presentati nei plessi (si dice ancora così?) appena in 52.324. Una ribellione passata pressoché sotto silenzio, come usa nei regimi. Ovvio perché. Lo sciopero è sì contro il governo, ma essendo il Pd e Leu parte di esso, non conviene a quei partiti minare il prestigio del loro braccio di piazza, che sperano gli venga buono alla prima occasione. C'è un'altra ragione di sollievo. Il fiasco non è solo delle sigle di settore, bensì annuncia il disastro generale della chiamata alle armi delle Confederazioni sindacali e dei loro tonitruanti leader. Nelle intenzioni proclamate dai sindacalisti scolastici, il loro sciopero non era una faccenda a parte, ma una scossa di avvertimento al governo e all'intero Paese prima del terremoto squassante annunciato per la prova di forza del 17 dicembre. Hanno usato addirittura un linguaggio guerresco. Lo sciopero doveva essere «il detonatore» dello sciopero generale di venerdì prossimo. Il detonatore ha fatto cilecca, è scoppiato mosciamente tra i piedi di Landini umiliandone le pose da guru del disagio popolare. I numeri sentenziano che i sindacati sono tigri di carta, e la loro pretesa di tenere in pugno il Paese è proprio morta, non hanno più potere di telecomando sulle masse, neppure quelle che credevano più servilmente pronte all'obbedienza. Oppla.

 

NAUFRAGHI - La seconda notizia osiamo riferirla con un certo tremore, come davanti a un fiore d'inverno che va riparato dal gelo. La desumiamo dai dati esposti sopra. Maestri e professori, di ogni ordine e grado, hanno riscoperto dentro sé stessi una vena di responsabilità verso i propri allievi. Una maggioranza finora silente ha dimostrato coi fatti che è ora di sbarazzarsi dei capatàz sindacali colpevoli di aver demolito, con la loro ideologia progressista, il sistema scolastico italiano e la loro stessa dignità di insegnanti. La loro scelta di recarsi in aula è un modo per dire ai loro ragazzi: vi volgiamo bene, teniamo a voi. Desideriamo che impariate a scrivere e a far di conto, che apprendiate dalla nostra viva voce, sotto il nostro sguardo severo e amorevole, le nozioni basilari della storia, e che i compiti si fanno, e che bisogna studiare. E che è tempo di farla corta con gli slogan vuoti sulla «solidarietà» e l'«uguaglianza», quelle che Ludwig Wittgenstein chiamava parole-cadaveri, di cui è pieno come un uovo di dinosauro il comunicato di proclamazione dello sciopero. Sarebbe il caso di ammutinarsi liberando la scuola da quei sindacalisti progressisti che non ne hanno alcun titolo di proprietà, e che tuttora come veri e propri scafisti imbarcano le nuove generazioni verso il naufragio.

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