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Pensione, l'assegno prima soltanto se ci sono i soldi: quello che i sindacati non capiscono

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Franco Vergnano
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A pagina 21 di Libero, il 17 dicembre, l'ex presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua spiega molto bene come sulle pensioni i sindacati continuano a combattere per dare garanzie ai garantiti, forse anche per tenere buoni i moltissimi iscritti in quiescenza rispetto ai lavoratori in attività. Il tema, sul quale un Draghi appena messo sul tetto del mondo dall'Economistincontra lunedì 20 i sindacati, deve far riflettere, essendo tanto importante per il Paese e per i conti pubblici quanto divisivo. Senza contare gli aspetti di "guerra generazionale"...

 

Forse aveva visto lontano, già 50 anni fa, Francesco Alberoni quando, in Classi e generazioni teorizzava come il conflitto di classe venisse superato da quello tra le generazioni. Fanno riflettere, e non solo in Italia, i più recenti dati Ocse dai quali emerge che l'Italia ha il record di scostamento più elevato tra età "legale" ed effettiva di pensionamento. Sulla carta, cioè, siamo in linea con gli altri Paesi, ma poi con "prepensionamenti" (clausole di salvaguardia, lavori usuranti e altre amenità), troviamo il modo di andare effettivamente in quiescenza 4-5 anni prima, uomini e donne. Insomma, un Paese per anziani ancora giovani, si potrebbe dire. Ma non basta. Gli italiani, infatti, sono tra i pensionati «più ricchi», nel senso che incassano - mediamente - l'80% dell'ultimo stipendio, contro una media Ocse del 62% (tecnicamente si chiama tasso di sostituzione, ed è rappresentato dai minori introiti che hai quando da lavoratore attivo ti ritiri a vita privata).

Secondo il rapporto Pensions at glance dell'Ocse, l'Italia è il Paese Ocse che presenta lo scostamento più grande: nel 2018 gli uomini sono andati in pensione mediamente a 63,3 anni (3,7anni prima) e le donne a 61,5 anni (5,1 anni prima). Un altro dualismo del Bel Paese. Sembra dunque aver ragione Draghi con la sua "gradualità" quando racconta che, prima di far le riforme, bisogna "spiegarle" alla popolazione, in modo da creare e raccogliere il consenso. Perché altrimenti diventa difficile attuare i provvedimenti presi che corrono quindi il rischio di rimanere sulla carta e di non vedere effettivamente la luce. Adesso i sindacati chiedono la flessibilità. Principio sacrosanto, quello della libertà di stare a casa dal lavoro quando si vuole.

 

Ma in tema di pensioni bisogna considerare prima di tutto che solo chi ha cominciato a versare i contributi dal 1° gennaio 1996 va in pensione con il "contributivo pieno". Per gli altri c'è il vecchio sistema retributivo se avevano più di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, o il "sistema misto", il cosiddetto pro rata. Dal 1° gennaio 2012 siamo tutti nel misto pro rata. Del resto nei suoi rapporti l'Ocse sottolinea che l'Italia deve dare priorità all'aumento dell'effettiva età in cui si lascia il lavoro. I conti però devono essere sostenibili, specie con una natalità in continuo calo. Alla fine, come Libero ha scritto più volte, l'interrogativo inquietante rimane sempre quello: chi paga il conto?

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