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Ucraina, il paradosso italiano: siamo nazionalisti ma soltanto per le patrie degli altri

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Antonio Socci
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Vedendo sui media tante lacrime di commozione per il patriottismo degli ucraini e folle di politici e commentatori esaltare la loro sovranità nazionale, i loro sacri confini e la loro indipendenza, domenica scorsa, ho manifestato, su Twitter, la mia sorpresa: «Patria, sovranità nazionale, difesa dei confini, indipendenza... Da anni sentiamo che sono brutte parole e chi le pronuncia è sospetto... Ora di colpo diventano parole sacre per cui combattere. Ma tranquilli: vale solo se si parla di Ucraina». Qualcuno ha obiettato, indispettito, che quei valori sono sacri per l'Ucraina perché in questo momento è aggredita e invasa. Ma a questo punto c'è chi controbatte che non si ricorda un coro mediatico come quello attuale quando ad essere violati dai bombardieri sono stati i confini di Libia, Serbia, Iraq o Siria, e a violarli sono stati gli "occidentali". Al di là di queste polemiche, bisogna chiedersi: chi ha detto che quei valori debbano valere solo in caso di guerra e di invasioni di eserciti nemici? La sovranità nazionale, l'indipendenza e l'intangibilità dei confini - se leggiamo la nostra Costituzione - non sono validi a intermittenza, cioè solo quando arrivano carri armati stranieri. Ma sono proclamati come principi da difendere sempre. Quindi va bene preoccuparsi della sovranità, dell'indipendenza e dei sacri confini dell'Ucraina, ma è legittimo affermare questi principi anche per la nostra povera Italia (come per tutti gli altri Paesi del mondo). Non mi pare che sia un deprecabile sintomo di nazionalismo o - come si dice oggi sprezzantemente - di sovranismo, dal momento che è lo stesso Articolo 1 della Costituzione che - per esempio - proclama la sovranità del popolo italiano come il primo dei "Principi fondamentali".

 

 

 

Già qui però cominciano i dolori, perché - ormai da tempo - a decidere chi deve governare l'Italia non è il solo popolo italiano con il voto. Molti altri hanno voce in capitolo: per esempio i Mercati (ormai padroni del globo) o gli Stati Uniti (e non solo quando agiscono alla luce del sole come fece Trump con il famoso tweet in appoggio a "Giuseppi") oppure l'Unione europea. Ricordiamo quando Carlo De Benedetti, a proposito di un'eventuale vittoria del Centrodestra, nel dicembre 2020 disse: «Non credo a questo scenario. Non si tiene conto di qual è la funzione dell'Europa. L'Europa non lo permetterà mai, in un modo o nell'altro... Salvini sa di non essere accettato in Europa. Il giorno in cui viene Salvini, i rubinetti si chiudono». In effetti l'Europa può pesantemente condizionarci ad esempio con l'acquisto (oppure no) di titoli del debito pubblico da parte della Bce, con i vincoli di Maastricht e ora con quelli del Pnrr. Dunque la Costituzione assegna al popolo italiano la decisione su chi deve governare, ma poi sono diventati determinanti istituzioni che, in quel primo articolo della Costituzione, non ci sono. D'altra parte abbiamo rinunciato pure alla sovranità monetaria (che è fondamentale per uno Stato che voglia determinare le sue scelte), non siamo indipendenti nella definizione dei tassi d'interesse, della politica fiscale, delle politiche commerciali, nemmeno nella politica industriale (di cui fa parte il capitolo dei sussidi di Stato). Ma potremmo continuare anche con la spesa sanitaria e quella pensionistica o con la politica migratoria (in cui è in gioco pure il controllo e la sicurezza dei nostri confini). Non è finita. Siamo a sovranità limitata pure nella Difesa, perché aderimmo alla Nato. Ma lo siamo anche nella politica estera e non certo per ragioni storiche, perché durante la prima repubblica - quando pure era in corso la guerra fredda - la classe politica si prendeva una libertà, rispetto agli Stati Uniti, che gli attuali governanti neanche si sognano.

 

 

 

L'unico tema ritenuto degno di dibattito pubblico è stato, in queste settimane, il seguente: non abbiamo indipendenza energetica (che sarebbe fondamentale per un Paese trasformatore e manifatturiero). Di nuovo qua paghiamo errori della classe politica e la sudditanza a scelte straniere. Ma il nostro è forse l'unico Paese in cui il "vincolo esterno" non è negato dalla classe dirigente, ma anzi apertamente rivendicato come positivo. Da decenni. Oggi, per esempio, Luigi Marattin afferma trionfalmente che «il programma di governo fino al 2026 c'è già e si chiama Pnrr». Vuol dire che il programma del futuro governo l'ha già definito l'Ue a prescindere da come voteranno gli italiani. Marattin (economista di Iv) mette le mani avanti: «A chi strilla al 'commissariamento della politica' va ricordato che nessuno ci ha obbligato ad aderire al Pnrr». Ma è pur vero che l'approvazione è avvenuta nei giorni dell'emergenza pandemica e che un dibattito vero, approfondito, non c'è stato. L'Ue, mentre imperversava il Covid, non si è limitata a stanziare fondi per affrontare le spese sanitarie (tagliate negli anni precedenti), ma ha varato un Piano (appunto il Pnrr) in cui definisce quello che obbligatoriamente dovremo fare in molti campi. E ha fatto scelte - per esempio sulla transizione ecologica - molto discutibili. Quindi gli italiani nel 2023 voteranno un nuovo governo, ma c'è già chi ha deciso per loro cosa dovrà fare. Con tutto ciò che tipo di sovranità ci resta? 

 

 

 

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