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Anpi al bivio, l'affondo di Filippo Facci: essere dannosa o diventare ridicola, tertium non datur

Anpi

Filippo Facci
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Sarà un segno, ma l'idea di cambiare nome all'Anpi (da associazione partigiani ad associazione putiniani) non è stata un'esclusiva di Libero, ieri, ma anche del prudentissimo Corriere della Sera, questo dopo che il temperante Pierluigi Battista li aveva definiti «usurpatori di una nobile sigla» e dopo che Aldo Grasso aveva consigliato al presidente Gianfranco Pagliarulo (cognome da rima baciata) di «cambiare mestiere» e non solo sigla. Insomma: scomparsi i partigiani veri (per motivi anagrafici), i partigiani in differita stanno facendo finalmente la resistenza a qualcosa: alla quantità di schiaffi che piovono da tutte le parti, e che paiono tutti ben assestati e motivati; dal presidente Mattarella che ha accostato gli ucraini ai valori della Liberazione, alla «nessuna equidistanza» invocata da Liliana Segre, sino alla presa di distanza del presidente onorario dell'Anpi Carlo Smuraglia, che si è detto favorevole agli aiuti militari. Da ripiegare in trincea, viste le granate che arrivano.

Invocarne lo scioglimento pare troppo, anche perché spingerebbe sullo stesso terreno minato in cui vari fanatismi chiedono uno lo scioglimento dell'altro: l'Anpi chiede da tempo lo scioglimento di Forza Nuova (che ricambia) mentre a chiedere lo scioglimento dell'Anpi, per tutt' altri motivi, sono anche gli israelisti di «informazione corretta», che non partecipano da tempo ai festeggiamenti del 25 aprile perché la giudicano «una manifestazione antisemita» anche perché «in fin dei conti il nazifascismo è figlio del socialismo, in origine erano socialisti sia Hitler che Mussolini, quindi il marcio è antico e diffuso». Meglio restarne fuori, anche se è verissimo che ai cortei per la Liberazione partecipano anche minoranze di deficienti con magliette scritte in arabo e inneggiamenti ad Hamas e a Hezbollah, e non solo l'Anpi che a Rovigo giudicò la foiba di Basovizza «una vergognosa fandonia» a dispetto delle 11mila persone che vi trovarono la morte.

 

 

IL PESO DELLA STORIA - Anche nel mondo delle persone normali, però, è come se la guerra di Putin avesse fatto saltare un tappo. Definire «cobelligeranza» gli aiuti europei all'Ucraina, come ha fatto l'Anpi, è stato troppo. Questa associazione, che resta composta da quattro gatti in rapporto agli aiuti economici che riceve, d'un tratto ha stufato tutti, assieme ai suoi «se» e «ma» sparpagliati in giro. Per il massacro dei civili di Bucha, a loro dire, serve anzitutto una commissione di inchiesta internazionale «per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili». Persino gli oltranzisti di Micromega hanno definito «oscena» una posizione così ambigua.

Sostanza: l'Anpi non accetta che gli ucraini abbiano un invasore russo così come noi avevamo un invasore tedesco: la Russia non corrisponde i fascisti o Repubblica Sociale Italiana di Salò, pur trattandosi di uno stato non democratico che ne invade un altro. E sarà anche vero che non è tempo di sfumature, questo, e che certi accostamenti lasciano sempre il tempo che trovano: ma negare a priori che in Ucraina sia in corso un genocidio ha comunque dei precedenti di rilievo.

Non è che stiamo dando troppa importanza all'Anpi, composta da non più di 125mila soggetti disordinati: è che gliene abbiamo sempre data troppa, e il momento pare buono affinché il ridimensionamento sia definitivo. Il prossimo passo non è lo scioglimento, ma il dare il peso e il rilievo che merita (poco) a un'associazione come altre, da riconsiderare in un quadro generico e attempato di dopolavoro all'italiana, quasi di welfare: come il vecchio Enel Cral, come certe organizzazioni sportive e ricreative, a sfondo sociale, che la folla solitaria di internet ha teso un po' ad ammazzare. È come quando i quotidiani evidenziano «l'opinione del web» per via di qualche idiota che ha detto questo o quello: e che spesso è roba da ignorare e basta, non indica nessuna tendenza, nessun trend, nessun orientamento che non siano i giornali stessi a inventarsi nel rilanciarlo.

 

 

Dice: ma l'Anpi ha una sua storia. È proprio il contrario: l'Anpi è fuori dalla storia, e lo è da così da tanto tempo che adesso, quando il gioco si fa serio, va lasciato nella sua cameretta a divertirsi e a raccontarsela come vuole, ora però scusino, i grandi hanno da fare, hanno da mettere insieme il pranzo con la cena e il gas con l'inverno prossimo.

TEMPO SCADUTO - La fondamentale questione del dirsi «antifascisti» faceva ridere una minoranza, dapprima, mentre una maggioranza faceva spallucce: ora ha stancato tutti. Lasciamo che i nonni giochino coi loro spingardini, che i bambini facciano i loro disegnini, che gli artisti non capiscano un cazzo come al solito. Stiamo parlando di un'associazione nata nel 1945 mentre in Italia si combatteva ancora per le strade, e che era già finita quando nel 1947 i partigiani comunisti rischiavano di diventare milizie pro-Unione Sovietica e si paventava seriamente una guerra civile che non ci fu, per fortuna: perché molti partigiani abbandonarono l'Anpi, e fondarono altre associazioni a cui, oggi, si dà il peso che meritano, giustamente, né più né meno. Che poi l'Anpi abbia voluto saldarsi a certa sinistra politica, nei decenni, neppure interessa: tanto è scomparsa anche certa sinistra politica. L'Anpi è contro il governo: chissenefrega. L'Anpi è contro il referendum costituzionale: chissenefrega. L'Anpi è contro la guerra in Afghanistan, in Iraq, ovunque, è contro certo modello capitalista, contro la Nato, non sta con questo né con quello. Ma l'Anpi non esiste. Non è più credibile neppure come avversario. Ne troveremo altri. 

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