Cerca
Cerca
+

Anpi, perché dopo l'ultima inutile carnevalata ai partigiani non resta che chiudere

Lorenzo Pastuglia
  • a
  • a
  • a

A poche settimane di distanza dal 25 aprile, proviamo a lanciare una proposta che potrebbe davvero restituirci il gusto di una Liberazione: forse è giunto il momento di chiudere l'Associazione Nazionale Partigiani Italiani. O perlomeno di cambiarle il nome. Non prendetela come una provocazione perché provocare significa cercare una reazione, mentre solo l'idea di leggere certi polverosi e indignati comunicati di replica ci risulta più molesta di un film di Tarkovsksij. Qui si tratta di prendere atto di alcuni dati di fatto.

 

 

Vediamo l'ultima carnevalata: in vista del 25 aprile, con chiaro riferimento ai fatti in Ucraina, l'Anpi ha diffuso un curioso volantino per annunciare che l'associazione che tramanda il ricordo della Resistenza "ripudia la guerra". In pratica, siamo alla Resistenza che ripudia la resistenza. Il problema, però, non è tanto capire se questa posizione abbia senso, ma chiedersi a nome di chi viene espressa. Lo ripetiamo periodicamente e a causa dello scorrere del tempo è sempre più vero, ormai a parte qualche raro caso gli iscritti Anpi semplicemente non sono partigiani (si parla di uno su 30 circa, ma potrebbe essere una stima gonfiata). Ogni anno ci tocca aggiornare le statistiche, che dicono che un combattente partigiano quarantenne nel '45 (età media dei comandanti delle storiche brigate) adesso avrebbe 117 anni. Un trentenne 107 e così via. Perfino il bellicoso presidente è nato in realtà nel 1949 e ricava le sue esperienze di lotta al nazifascismo da film, videogiochi e fumetti. Per età ed esperienze ha più familiarità con i dischi di Little Tony che con l'opposizione al Duce. 

 

 

Per utilizzare le sagge parole di Pigi Battista, in una recente intervista a Libero, «sono gli usurpatori di una nobile sigla che esprimono le loro posizioni come tanti altri gruppi di associati». Fare politica è un'aspirazione legittimissima, purché non la si faccia in nome di persone che non possono più parlare. Siamo all'abuso del prestigio altrui, oltre che della credulità popolare. E la cosa diventa più grave se tutto ciò avviene con denaro pubblico. Il bilancio Anpi parla di alcune centinaia di migliaia di euro donate dallo Stato, ma si tratta della punta dell'iceberg. Bisognerebbe anche contare tutti i finanziamenti che arrivano da Comuni e istituzioni locali governati da politici a caccia di consenso (parliamo ovviamente solo di certe aree politiche). 

 

 

 

Per non parlare degli spazi pubblici occupati in tutto il Paese. Il tutto, come dicevamo, semplicemente per consentire a 120mila persone di esprimere pareri personali. Al di là delle violente scivolate - dai consueti insulti alla brigata ebraica fino ai fischi al padre disabile di Letizia Moratti - ora si arriva ai reduci che ripudiano la guerra. Una scelta che ricorda un altro fatto. Nel 2009 la Regione Liguria aveva stampato dei manifesti in occasione del 25 aprile, riproducendo la foto taroccata di un gruppetto di partigiani: dall'immagine originale erano spariti esplosivi e fucili. La storia, così com' è, non poteva essere usata. Toccava barare.

 

 

 

Dai blog