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Centrodestra, avanti così e si va a sbattere: Pietro Senaldi, perché gli elettori sono sgomenti

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Pietro Senaldi
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Avviso ai naviganti. Non c'è due senza tre e il centro destra, secondo i sondaggi da tempo maggioranza nel Paese, rischia di andare a sbattere ancora una volta sugli scogli. A rendere grottesco il naufragio è che esso non sarebbe dovuto a una tempesta inaspettata ma avverrebbe con il mare in calma piatta. Il centrosinistra infatti è al disarmo, con i grillini agonizzanti e il Pd alla canna del gas, vittima delle proprie contraddizioni, sempre più palesi e ingiustificabili agli occhi dell'opinione pubblica. L'elettorato è sgomento. Assiste ai propri partiti di riferimento che si fronteggiano con acrimonia per vincere derby interni alla coalizione, ma anche alle stesse formazioni, e trascurano la lotta per lo scudetto, che sarebbe il governo della nazione dopo una vittoria che può avvenire solo grazie a una corsa di gruppo, tutti affiatati e determinati su un unico, comune, fine. Quasi che tornare al potere dopo dodici anni fosse un obiettivo secondario, nell'illusione che l'inerzia collettiva e l'interessarsi ciascuno della propria singola sorte fosse il viatico per il trionfo anziché per la dissoluzione. Vediamo di cosa stiamo parlando. La Meloni pare ormai un pianeta distinto dal resto della coalizione. I cosiddetti alleati addebitano la responsabilità alla leader di Fdi, che si sarebbe rifiutata di entrare nella coalizione di governo per puro calcolo politico, con la strategia, che si sta rivelando pagante, di speculare consensi dall'opposizione, a danno del resto del centrodestra. L'interessata nega e replica di essere vittima di un complotto: Berlusconi e Salvini, dopo che lei li ha superati nei sondaggi, vorrebbero farla fuori, per non cederle lo scettro del comando.

 

 

 

MALUMORI INTERNI

Preferirebbero sostenere un nuovo governo di tutti, da riaffidare a Draghi o a chi per lui, piuttosto che fare da vice alla leader di Fdi. L'ultima bisticciata in Sicilia, dove Lega e Fi non vorrebbero sostenere il presidente uscente in quota Fdi, sarebbe la prova che i due partiti le lavorano contro; e, soprattutto, tendono a costringerla nei confini del Centro Italia, per indebolirne la leadership nazionale e sobillare malumori interni. Dall'altra parte, leghisti e azzurri mettono in giro la voce che sarebbe Giorgia a voler distruggere il centrodestra, lanciando un'opa ostile ai loro danni, già partita in verità con una capillare campagna acquisti sul territorio. La sorella d'Italia giura invece che le sta tentando tutte per tenere insieme i cocci. Comunque sia, di certo i risultati non si vedono. E finora ci siamo concentrati sulla nave che viaggia con il vento in poppa. Se si guarda in casa Lega, c'è da stare ancora meno allegri. Calcolatrice alla mano, Salvini al momento non riesce a garantire la conferma a più del 60% dell'attuale compagine parlamentare e questo dà forza ai critici interni. I processi nel Carroccio sono più lenti che in Vaticano, ma qualcosa sotto il trono del Capitano si sta muovendo. Se non la guida, è sotto attacco la cerchia più ristretta dei collaboratori. Prende corpo l'idea che, se non allargherà il partito, quella delle Politiche potrebbe essere per il leader la sfida per la vita. Sempre che non accada qualcosa prima. Siamo alla fantapolitica ma tra i leghisti in molti sono contrati al progetto di federazione o addirittura liste uniche con Forza Italia. Non è escluso che, se dovesse finire così, nelle regioni del Nord dove il Carroccio governa non si formino liste territoriali a sostegno al partito, con candidati propri, scelti dal territorio e non dalla segreteria nazionale, collegate ma autonome. È un'ipotesi residuale, ma non impossibile.

 

 

 

LA STRADA PIÙ SICURA

Quanto a Forza Italia, che con il sostegno a Draghi ha arginato il calo di consensi e riguadagnato qualche punto, le strade aperte per i parlamentari sono due. I fedelissimi sono appesi all'ennesima campagna elettorale miracolosa del Cavaliere. La compagine ministeriale è alla ricerca di identità e compagni di viaggio. "Cambiamo" è per ora più un'intenzione che un partito, Calenda prende solo chi ha voti e non ha seggi sicuri da regalare. La strada più sicura resta sempre una telefonata ad Arcore, ma non per tutti è facile convincere il centralino a passare la comunicazione. Così, all'elettore di centrodestra, oltre allo sconcerto, resta la grande paura. Dopo aver perso le Comunali senza neppure giocarle per incapacità dei partiti di trovare e mettersi d'accordo su di un candidato spendibile e aver bruciato con i veti incrociati di Salvini, Berlusconi e Meloni una serie di candidati d'area credibili per il Quirinale per arrivare poi alla conferma di Mattarella, spacciata come soluzione anziché disfatta, far prevalere litigi e interessi di bottega per poi riconsegnare il Paese al Pd sarebbe intollerabile. A quel punto al centrodestra ci sarebbero solo vinti. 

 

 

 

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