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Centro e campo largo? La crisi di quei leader con il complesso di Napoleone

Fabrizio Cicchitto

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Direttore, consenta alcune osservazioni eterodosse visto che, ferma rimanendo la Sua originaria impostazione riformista e liberal socialista, oggi non si riconosce in nessuno degli schieramenti esistenti. Il voto presenta una serie di aspetti paradossali. Il Pd è sia pure di poco, il primo partito, il che testimonia come sia il parziale erede di due storici radicamenti politici quali quello post comunista e quello della sinistra democristiana. 

Guidato da Enrico Letta, lungo la linea di un cosiddetto campo largo per le alleanze si trova invece in mezzo a un deserto dei tartari proprio dal punto di vista delle alleanze: uno dei risultati inequivocabili di queste elezioni è costituito dal crollo del M5S, per di più preceduto da inconsulte dichiarazioni di una parte di esso, quello guidato da Conte sul terreno assai delicato della politica estera e del sostegno agli Ucraini. Nel passato sulla alleanza con il M5S una parte del Pd, la sinistra di Bettini e di Zingaretti, aveva costruito una sorta di strategia politica secondo la quale addirittura i "barbari grillini" avrebbero dovuto dare un apporto di sangue fresco agli ormai estenuati ceti medi riflessivi che si riconoscono nel Pd. Addirittura Conte avrebbe dovuto essere il leader di un nuovo Polo progressista. Tutto ciò è caduto nel ridicolo.

Enrico Letta è stato più pragmatico ma anche nel suo "campo largo" certamente i grillini avrebbero dovuto essere la componente più significativa. Questa ipotesi è in crisi sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista numerico. Invece sul centro in una area peraltro percorsa da notevoli nervosismi, si sta esprimendo una seppur confusa vitalità che dovrebbe richiedere al Pd una riflessione politica di non poco conto. D'altra parte alcuni di questi leader del centro riformista complicano spesso le cose perché sono affetti da quello che chiameremmo una sorta di complesso napoleonico che al massimo concede ai potenziali alleati solo il ruolo del generale Murat.

Se allo stato i conti del centrosinistra non tornano né dal punto di vista politico né da quello numerico, paradossalmente quelli del centrodestra tornano più dal punto di vista numerico che da quello politico. Nel suo complesso il centrodestra ha confermato i sindaci uscenti e poi ha vinto in città importanti come Genova (una conferma), e come Palermo (invece una vittoria sul campo originariamente avverso). Però la forza trainante del centrodestra è risultata Giorgia Meloni, alla guida di Fratelli d'Italia che però sta all'opposizione. Paradosso nel paradosso, sul delicatissimo terreno del sostegno agli Ucraini, Giorgia Meloni si è dimostrata più atlantica ed europeista di un erratico ed imprevedibile Salvini, che si è reso protagonista di iniziative così avventurose che se non fossero state bloccate in tempo, avrebbero anche potuto provocare una crisi di governo e comunque una perdita della credibilità internazionale dell'Italia.

Di conseguenza, mentre l'attuale governo, malgrado tutte le sue interne contraddizioni, continua ad essere l'unico esecutivo in grado di portare il Paese alla scadenza del 2023, facendo i conti con la guerra e con difficoltà economiche assai serie, tuttavia in prospettiva entrambi i due potenziali schieramenti alternativi, presentano al loro interno problemi politici (il centrodestra), problemi sia politici che numerici, per cui il cosiddetto dopo Draghi si presenta come una incognita dagli sblocchi assolutamente imprevedibili, a meno che non intervenga una modifica, peraltro assai contestata, della legge elettorale in senso proporzionale che consentirebbe comunque una dialettica politica più articolata rispetto alla rigidità di due coalizioni solcate entrambi da contraddizioni profondissime. 

di Fabrizio Cicchitto
*Presidente di ReL. Riformismo e Libertà Caro 

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