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Marmolada, la tragedia ci insegna che la Natura resta la nostra matrigna

Giovanni Sallusti
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Ieri il Tribunale Unico imbastito dai giornaloni piazzava in prima pagina uno e un solo imputato: lui. Per dirla con le parole usate su La Stampa dal geologo - ideologo dell'ecofondamentalismo Mario Tozzi (che almeno ha avuto il pregio di formulare l'accusa nel modo più diretto e grezzo): «C'è un solo colpevole, il cui nome è Homo Sapiens». La colpa è di tutti noi, specie maledetta e inquinatrice, se in quest'estate anomala parete un ghiacciaio si stacca dalla Marmolada e precipita a valle divorando tutto, compreso le vite di sette Sapiens. La tragedia dovrebbe ispirare il silenzio operoso delle ricerche, invece è stata l'occasione per l'ennesima spettacolarizzazione del senso di colpa antropocentrico, la requisitoria a testate unificate contro quella "canna che pensa" che per Blaise Pascal era l'essere umano, il quale ha l'onta di aver pensato anche cose come la civiltà, la rivoluzione industriale, il capitalismo. Tozzi, appunto, la piatta dice: l'Homo Sapiens si è «prostrato al demone del profitto» e ora «il pianeta si vendica», come da titolo strillato. Non è un'analisi, è un fumettone tra Karl Marx e Greta Thunberg.

 

Non molto più evoluto lo scrittore Paolo Cognetti, in prima su Repubblica: «Noi, i nemici della Natura». Anche la neodirettrice del Quotidiano Nazionale Agnese Pini non resiste all'occasione d'intrupparsi nel coro, e verga un editoriale dai seguenti toni: «La strage della Marmolada non è dunque una tragedia della montagna (mavvà, che ipotesi bislacca, ndr). La responsabilità di quanto accaduto è solo nostra: umanissima». Sul Corrierone si scomoda Gian Antonio Stella, che firma un commento intitolato «Una ferita che ci riguarda riguarda» a de «il clima e le nostre colpe», prendendosela con quelli che «ridevano degli ambientalisti».

 

Sarà, ma a noi qui rimbombano piuttosto le parole del grande philosophe politicamente scorretto Alain Finkielkraut: «L'ecologia ufficiale non conosce più la natura, né il nome dei suoi abitanti, ma soltanto la "biodiversità" o gli "ecosistemi"». Se conoscessimo ancora la Natura e non l'avessimo da tempo idealizzata (e ideologizzata) in Ambiente, ci ricorderemmo che essa è anzitutto un meccanismo cieco e indifferente alle nostre sorti, una furia sempre sul punto di scatenarsi. Ci ricorderemmo di Giacomo Leopardi, che non era iscritto a Friday for Future eppure nemmeno un cretino, il quale nel "Dialogo della Natura e di un Islandese" faceva demolire a quest'entità Matrigna tutte le certezze "progressiste" del suo interlocutore: «Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest' universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione». La tragedia è una possibilità sempre incombente del dato naturale, anzi è tragedia solo ai piccoli (e pensanti) occhi umani, per la Natura è mera automanifestazione. Infatti, sentenzia la protagonista del Dialogo, «Finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei».

 


Per questo, per contenere questa minaccia letale perché noncurante, l'uomo si è affannato a costruire rimedi e argini, il cui elenco complessivo si chiama civiltà. Da quando questa è civiltà industriale avanzata, tanto per essere chiari e sgradevoli all'Editorialista Collettivo, stiamo incommensurabilmente meglio. Non si tratta allora, davanti a sfaceli come quello della Marmolada, dismettere la civiltà, invertire lo sviluppo, sbaraccare il capitalismo. Questo è gretinismo, lo stratagemma che si è dato il socialismo per vincere ai tempi supplementari la partita persa nel Novecento. Si tratta di appurare laicamente eventuali responsabilità, certo, oltre a mettere a referto il responso all'Adnkronos di Reinhold Messner, uno che conosce a memoria l'incontro/scontro di fato e libero arbitrio che chiamiamo montagna: «Il ghiaccio della Marmolada è molto sottile e sicuramente il caldo globale ha la sua parte in questo crollo, ma la montagna è sempre pericolosa. C'è sempre il rischio della caduta di seracchi. Molti pensano che siano facili, che non ci rischi, ma non è così». Soprattutto, si tratta di non occultare la responsabilità prima, metafisica, non riscattabile. Quella della Natura-Matrigna, e della sua sorella siamese dalla notte dei tempi: la catastrofe. Contro cui Leopardi invitava a stringersi in "social catena", altro che accanirsi sui Sapiens, che poi siamo (saremmo) noi. 

 

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