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Pd, la piovra dem non incanta: questa sinistra proprio non capisce l'Italia

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Iuri Maria Prado
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 Se per prevalere nelle urne alla sinistra non è bastato aver occupato i giornali, le tv, il cinema, il teatro, le case editrici, la scuola, l'università e insomma i luoghi in cui il consenso si forma e orienta, significa che mezza Italia e oltre ha subìto, ma non fatto proprio, un canone di vita che continua a ritenere estraneo, un regolamento civile che essa sopporta ma non condivide. 

 

La destra, per accreditarsi, non ha mai dovuto fare lo sforzo immane cui invece la sinistra è costretta per imporsi, per subordinare al proprio criterio, ai propri pregiudizi, un elettorato che non la sceglie e continua a non sceglierla perché si percepisce come la parte negletta di un ordinamento che parla un'altra lingua, con una diversa architettura di valori, con diverse fondamenta di convivenza. Che poi su alcune questioni di fondo i due elettorati possano vederla allo stesso modo non cambia il posizionamento ineluttabilmente opposto dell'Italia che vota a destra rispetto all'affanno e alle forzature con cui la sinistra prova da sempre a ridurlo a sé. Può imporgli la retorica del 25 aprile, del primo maggio, delle cosiddette leggi contro l'odio e può mettere in campo gli editorialisti, i romanzieri, gli attori, i cantanti, i conduttori, i sindacalisti e insomma tutto il circo della Repubblica Bella Ciao, ma il voto non glielo estorce. 

 

Ci sarà pure un motivo. Ci sarà un motivo se un Paese sostanzialmente socialista, con un alfabeto pubblico sostanzialmente socialista, vede una parte maggioritaria di popolo resistere all'offerta elettorale di sinistra. Forse è perché non la percepisce come un'offerta, ma come la richiesta di dare riconoscimento a un mondo che non capisce e che non lo capisce.

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