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Enrico Letta e l'alleanza tecnica: retroscena sul Pd allo sbando, cosa significa la supercazzola

Francesco Specchia
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Non chiamatelo "capo", meglio "front-runner". Dicesi "front-runner" (fonte Treccani) "il corridore in testa", "chi in una gara conduce", "il favorito". Ma, occhio, non è detto che, qui, il front-runner debba per forza vincere. Anzi, no. Forse è meglio che il front-runner, qui, vinca. Però, se vince, non deve fare il Presidente del Consiglio. «Perché il Presidente del Consiglio lo fa Draghi», spiega Carlo. Risponde Enrico, con lo sguardo di chi avverte qualcosa di sghembo: «Ma Draghi mica lo fa, il Presidente». «Lo fa, lo fa, abbiamo la sua agenda in ostaggio» taglia corto Carlo «e se non fosse disponibile, al massimo mi candido io. Tanto ho già fatto il Ministro dello Sviluppo economico». E Enrico, che tra i due è quello che ha già fatto davvero il premier è stordito: non capisce ma si adegua. Letta si adegua a Calenda. Come Emma Bonino, alleata di +Europa che assiste attonita accanto ai due. E come noi, in questa cronaca.

 

 

 

DIALOGO SURREALE

Ecco. Il sopraccitato dialogo surreale suggella la nascita del "patto repubblicano" tra Letta e i moderati sognanti di Calenda. Patto che si contrappone, alla vigilia delle elezioni, in modo acrobatico, all'altra "coalizione democratica" che il Pd invece farebbe con l'estrema sinistra di Nicola Fratoianni e compagni. E, dal suddetto dialogo, si avverte una torsione della realtà: Calenda che ha nei sondaggi il 5% dei voti, si mette col Pd di Letta che ha il 22% ma se vince, le regole le detta lui e non Letta. È la fotografia plastica dell'incasinamento a centrosinistra nella formazione delle liste elettorali. La verità è che sotto l'affollatissima tenda blairiana di Letta ci stanno per passare tutti: centristi e Di Maio, Mastella e sardine, gretini e renziani, Bonino e Toti, Conte e Di Battista, Bonelli e Fratoianni. Cani e porci. E per tenere insieme tutti, anime e animacce di un'Italia draghiana senza Draghi; e per slalomare tra le ideologie opposte e le inevitabili contraddizioni, be', ecco che il Pd sfoderala sua arma più micidiale. La supercazzola. La supercazzola è sì la spia dell'inefficienza di un popolo come scriveva Alberto Forchielli nel suo pamphlet Lessico essenziale dell'Italia che ci meritiamo; epperò, nel contempo, si dimostra raffinata strategia. Per esempio, è supercazzola pura, appunto, l'invenzione semantica del "front-runner" di cui sopra. Non si può dire chiaramente a Calenda: tu ci dai i tuoi voti e noi forniamo il premier, sennò quello s' incazza e se va? Bene. Ecco che il Pd sfodera il "front-runner" che di per sé è un'espressione che non vuol dire nulla, ma è un nulla necessario che il leader del primo partito della coalizione deve saper apparecchiare. Altra Supercazzola introdotta dalla Pd Debora Serracchiani è la formula dell'"alleanza tecnica". Ora, che diamine significa alleanza tecnica? «Con Calenda facciamo un'alleanza tecnica nei collegi uninominali» conferma Debora ad Agorà Estate su Raitre. Il sottotesto dell'alleanza tecnica sarebbe: che fare con il leader di Azione che ora sembra voler dialogare ma continua a mettere veti e rompere le balle, e sembra voler escludere anche Europa Verde, visto che Calenda ha una idea della transizione ecologica opposta a quella ambientalista? «Noi non andiamo avanti né a scossoni né a strattoni, mettiamo prima di tutto il programma. E mi pare che Carlo Calenda non solo lo stia apprezzando ma l'abbia anche detto. È importante fare un'alleanza tecnica nei collegi uninominali, e confrontarsi anche sui programmi più che sulle persone e sui nomi», risponde la Serracchiani. Oplà, ecco l'alleanza tecnica. Un'altra astuzia in equilibrio sul crinale degli opposti, che ricorda molto il mitico patto di desistenza di bertinottiana memoria, patto peraltro oggivietato da questa legge elettorale.

 

 

 

LA NON-COALIZIONE

Il Pd si muove sulla linea di traccheggiamento. A sua volta, la sinistra/sinistra aspetta di conoscere ufficialmente le scelte del Pd: da questa parte non è stata mai esclusa un'alleanza con i 5 Stelle. Se il Pd scegliesse Azione praticamente rispingerebbe Fratojanni fra le braccia di Conte. Il quale Conte, reo d'aver fatto cadere il governo Draghi, oggi è considerato un appestato dai Dem a livello nazionale; ma non in Sicilia, dove M5S e Pd corrono ancora insieme. Mentre per far correre Di Maio con le sue gambette, urge sfruttare le liste civiche con i sindaci e i presidenti di Regione. Insomma. Lo spettacolo è quello di una non-coalizione, presenziata da una accozzaglia di non-leader. Attraverso l'"alleanza tecnica" e lo spirito del "front-running", Letta cerca in realtà di prendere tempo. Ma entro il 22 agosto dovranno essere dichiarati e depositati programmi e alleanze. Ciascuno il suo, però. E così l'ala sinistra del Pd fa circolare, il progetto di una «alleanza tattica» (altra supercazzola) opposta a quella con Calenda: e visto che non c'è tempo per stilare un programma comune - è il ragionamento- si può costruire un cartello di forze contro le destre, ciascuno con il proprio programma. Il che consentirebbe almeno di avere candidati comuni all'uninominale. Logico, no? Il problema è che Calenda e la Bonino, ci fosse una coalizione soltanto in funzione antisovranista, non ci starebbero. E torniamo a bomba. Il Pd è pronto all'ennesimo aggiustamento. La chiamano "formula Veltroni", ma sa molto di Conte Mascetti... 

 

 

 

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