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Calenda-Renzi, Il Terzo Polo trasforma i giudici in esattori

Iuri Maria Prado
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 Leggo dal programma del cosiddetto Terzo Polo (Calenda/Renzi, per capirsi): «Valorizzazione della mediazione endoprocessuale quale efficace strumento di deflazione del contenzioso». Poi vediamo cosa significa. Prima diciamo che siccome non è come discutere di omicidi e grandi truffe, e fa meno notizia, è comprensibile che di giustizia civile i giornali si occupino poco. Eppure è quella che più frequentemente tocca l'interesse del cittadino, cui sarà più facile imbattersi in un pasticcio condominiale, in una magagna familiare o nell'inadempimento di un debitore, che in una sparatoria. Ed è oltretutto quella che, siccome non funziona, tiene lontani gli investimenti dal nostro Paese, perché non si mettono soldi in un sistema che non presidia la proprietà, l'iniziativa economica e i commerci con una giustizia efficiente e tempestiva.

 

 

 

Bene, un po' dappertutto si propone di risolvere il problema con questo espediente: «per far lavorare meglio la giustizia civile, non farla lavorare». «Non è una battuta». Il pilastro di tutti i propositi di riforma consiste infatti nell'affidamento di un numero sempre crescente di controversie alla mediazione. E non per scelta delle parti, ma per obbligo. Sei un artigiano che ha fatto un mobile per un tizio che non ti paga e vuoi fargli causa? Non puoi: mediazione obbligatoria, perché il giudice ha troppo lavoro e non può occuparsi del tuo caso. C'è quello del piano di sopra che ti ha sfondato il soffitto e vuoi una sentenza che ti risarcisca? Niente da fare: mediazione obbligatoria, perché se no la tua pratica va ad affastellarsi sui milioni di controversie pendenti. Colpa tua, se ci sono troppi processi? No, ma per averne di meno sacrificano quello cui avresti diritto tu.

 

 

 

Ma torniamo all'inizio, e cioè al rafforzamento della mediazione "endoprocessuale" propugnato dal Terzo Polo calendian-renziano (il loro programma prevede altre belle trovate, e le vedremo una per una nei prossimi giorni). Tradotto, quel parolone significa che se, per avventura, riesci ad arrivare davanti a un giudice, questo ti ingiunge di metterti d'accordo con la tua controparte. Una causa in meno per lui: e un diritto in meno per te. Questi "liberali", evidentemente, non avvertono che c'è qualcosa che non fila per il verso giusto se per dare effettività alla tutela di un diritto si impedisce di esercitarlo a chi ne è titolare. E che non si migliora il servizio giudiziario appaltandolo a terzi o trasformando il giudice in un esattore di transazioni. 

 

 

 

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