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Marco Damilano, "Il cavallo e la torre"? Ecco l'unico merito del programma

Giovanni Sallusti
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La tivù politico-pedagogica può essere volta in spettacolo, rutilante ed unilaterale, ed è per esempio il caso di un Michele Santoro. Oppure può evaporare in un compitino autoreferenziale, che allunga il consueto brodo ideologico nella cronaca dei buoni sentimenti e delle buone intenzioni, con un approdo solo, moraviano: la Noia. È stata lei a finire per mangiarsi sia il cavallo che la torre, in quello che doveva essere il gran debutto di Marco Damilano su Raitre. La striscia di prima serata nella rete organica per eccellenza alla sinistra, l'occasione della vita per l'ex direttore de L'Espresso. Lui decide di sprecarla inventandosi un non-reportage da Pescopennataro, borgo molisano di 233 anime, da dove ci informa con l'entusiasmo del neofita della vita reale che sta facendo «una passeggiata tra le rocce» mentre incontra «persone antiche, simili agli abeti e alle pietre». Ebbene sì, esistono luoghi del Belpaese diversi dagli studi televisivi e dalle terrazze romane, esistono posti come Pescopennataro, esistono l'Appenino interno dimenticato ed anziani "memorie viventi" di un Novecento di provincia, e solo per un radical-chic dedito a un temporaneo safari nell'Italia reale può essere una notizia.

 

 

 

Poi c'è il messaggio, certo, Damilano non pensa con McLuhan che stia già nel mezzo, piuttosto è l'ultimo epigono di una lunga tradizione di pedagogismo progressista griffata Raitre, e quindi indugia, allude, orienta il racconto. Questi simpatici villici di cui ignorava l'esistenza oltre che antichi sono anche «resistenti», ovviamente, ora e sempre. Fa cadere dall'alto la citazione di una famosa lettera dell'intellettuale-partigiano Giaime Pintor al fratello Luigi (tra i fondatori del Manifesto) sempre pregnante, ma che c'entra come i cavoli a merenda, o come Damilano a Pescopennataro. Dopodiché, si lancia in una missione, sempre con la discrezione in bilico sull'ipocrisia che ne ha fatto un prezzemolino del mainstream: convincere gli indecisi ad andare a votare. Per il Pd, ovviamente, ma con tatto. Solo che il canovaccio gli esplode in mano, perché tutti, dal quasi centenario Gennarino che ha «sempre votato per la sinistra» all'artigiano scalpellino che rimpiange Pertini, tutti profili che sulla carta della riunione di redazione erano ottimi, lo respingono con perdite. «Non c'è più quella gente di una volta...», sospira il primo. «Non ho più punti di riferimento», tronca il secondo.

 

 

 

E anche con i ragazzi sondati non va meglio, tutti dichiarano idee confuse. Come quelle degli autori de "Il cavallo e la torre", che chiudono la puntata con pistolotto di Damilano rivolto ai «cari leader» sul «popolo dimenticato» di cui «la campagna elettorale non parla». Benvenuto Damilano, è uno scollamento che agita da anni la società italiana e occidentale, bastava uscire dal raccordo anulare. Il programma, comunque, un merito ce l'ha: mette in scena un vuoto televisivo perfettamente speculare al "vuoto politico" che lamenta. Al prossimo sbadiglio.

 

 

 

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