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Finalmente l'Italia ricuce la ferita degli esuli

Dopo 80 anni il dramma di fiumani, dalmati e istriani trova spazio al Vittoriano, simbolo della memoria collettiva del Paese
di Daniele Priorivenerdì 24 ottobre 2025
Finalmente l'Italia ricuce la ferita degli esuli

3' di lettura

L'esodo degli italiani d'Istria, Dalmazia e Fiume è iniziato da una deportazione negata per oltre mezzo secolo e tuttora, a ben vedere, ancora da storicizzare compiutamente. La tragedia di quegli italiani d'oltreconfine, morti nelle foibe, rinnegata e taciuta per più di cinquant'anni dagli italiani stessi, è infatti solo il tuffo al cuore più doloroso e fragoroso. Una ferita mai rimarginata, almeno fino all'approvazione della legge 92 del 2004 che istituì il Giorno del Ricordo (10 febbraio). Un primo, parziale, tributo di memoria alle oltre 350mila persone in fuga dalle loro case e dalle loro terre. Italiani della sponda adriatica d'oriente. E forse per questo ancor più attaccati all'identità del nostro Paese.

Tutte queste storie, finalmente manifeste, sono il cuore dell'esposizione permanente Medif (mostra dedicata all'esodo degli italiani d'Istria, Fiume e Dalmazia), visitabile da oggi nella Sala del Grottone del Vittoriano, a Roma, in piazza Venezia. Questa sera alle 18,30 è prevista l'inaugurazione alla presenza del Ministro della Cultura, Alessandro Giuli. Un luogo simbolo dell'unità nazionale, il Vittoriano, che ha nel suo cuore l'Altare della Patria e in esso il ricordo perenne del Milite ignoto e dei caduti di tutte le guerre tra i quali per la prima volta vengono annoverati anche i martiri italiani gettati nelle foibe istriano-dalmate per la sola colpa di essere italiani, additati dalle truppe jugoslave del generale Tito come fascisti. Una narrazione, va detto, mai messa in dubbio dagli storiografi e dalla cultura della sinistra italiana che, disconoscendo la tragedia di così tanti connazionali, ha continuato ad allargare lo strappo doloroso anziché sanarlo.

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Il percorso espositivo evoca un sistema narrativo dinamico completamente, reversibile, capace di stimolare l'attenzione del visitatore attraverso variazioni di geometria e prospettiva. Il pavimento retroilluminato riporta i nomi dei luoghi dell'esodo verso Trieste. Seguono sezioni storiche con video e leggii che documentano gli eventi ei campi profughi, pensati come momento di decompressione emotiva. Il tema delle foibe è affrontato attraverso un'installazione simbolica: una sedia Thonet e un monocolo puntato su una rosa rossa tra le rocce, in memoria degli infoibati e di Norma Cossetto. Una zona è dedicata alle testimonianze dirette, con nicchie immersive dove i visitatori ascoltano storie personali accompagnate da videowall.

L'Una risposta visibile e necessaria, dunque, questa mostra permanente che e allarga anche la visiva su altri periodi storici ai quali l'esilio è in vari modi connesso. Nel complesso del Vittoriano, infatti, si trova il Museo Centrale del Risorgimento, che documenta il processo di unificazione nazionale fino alla Prima guerra mondiale, considerata spesso l'ultima fase del percorso risorgimentale, con il completamento del confine orientale e l'annessione di Trento e Trieste. Ampliare all'esodo degli italiani d'Istria, Dalmazia e Fiume l'iconografia storiografica del munazionale seo -monumento rappresenta un passaggio fortissimo anche sotto il profilo simbolico. Un richiamo che chiude, finalmente, la storicizzazione del processo unitario, collocando oltre trent'anni più tardi (e dopo un altro conflitto mondiale) il compimento del duro percorso di unificazione.

Da cui, peraltro – va detto - ha poi preso le mosse un ulteriore periodo di sofferenza per gli italiani d'Istria e Dalmazia approdati in Italia. Gli esuli, infatti, non sono stati certo accolti a braccia aperte nel nostro Paese ma trattati esattamente come dei profughi. La mostra, in tal senso, documenta in maniera le sorti di queste persone sparse in 109 Centri Raccolta Profughi lungo le varie regioni d'Italia, strutture improvvisate in ex caserme, baraccopoli o conventi requisiti, spesso in condizioni precarie e addirittura prive dei servizi essenziali. I profughi dormivano in stanze comuni, con poca privacy, tra povertà, malnutrizione e malattie. L'Italia del dopoguerra, ancora devastata, non fu in grado di offrire un'accoglienza dignitosa.

Gli esuli vennero spesso etichettati con disprezzo come “fascisti in fuga”, ignorando che molte di queste persone avevano scelto di non vivere sotto il regime comunista jugoslavo, desiderando mantenere la propria identità italiana. Le tensioni tra profughi e popolazioni locali alimentano un senso di abbandono e isolamento. Salta agli occhi la celebre foto della bambina con la valigia e un cartello ad autoghettizzarla con su scritto proprio “esule giuliana”. Si tratta di Egea Haffner, la cui storia è stata raccontata anche in una recente fiction Rai, diventata emblema dell'esodo. Così come le bandiere di Italia, Istria, Dalmazia e Fiume – esposte a fine mostra - a simboleggiare una unione ritrovata, purtroppo ancora solo auspicabilmente sotto le insegne dell'Europa unita che è - o dovrebbe rappresentare – l'unione di tutti i popoli europei.

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