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Europa, la sentenza di Pérez-Reverte: "Ridotta a parco tematico per analfabeti"

di Francesco Musolinogiovedì 25 dicembre 2025
Europa, la sentenza di Pérez-Reverte: "Ridotta a parco tematico per analfabeti"

3' di lettura

«Mentre l’Europa si sgretola, mi sento come il Principe di Salina del Gattopardo». Firmato Arturo Pérez-Reverte, il 74enne bestsellerista internazionale ed ex reporter di guerra che torna in libreria con Il problema finale (Settecolori, «M pp.352 €23 tr. Bruno Arpaia). Ambientato negli anni ’60, una tempesta blocca sull’isoletta greca di Utakos nove persone di nazionalità diverse e, quando viene ritrovato il primo cadavere, l’indagine viene provvisoriamente affidata a Hopalong Basil, un attore sul viale del tramonto che ha interpretato Sherlock Holmes per tutta la vita. Il risultato è un delizioso e colto omaggio al giallo classico, un libro pieno di rimandi ai grandi autori, da Agatha Christie a Conan Doyle. In questa intervista Pérez-Reverte si racconta con lo sguardo acuto del narratore (ricordiamo Capitano Alatriste, La tavola fiamminga, Il club Dumas) ribadendo la necessità di difendere la libertà creativa dalla censura e osservando con eleganza, il tramonto del mondo che tutti noi conosciamo.

Quanto si è divertito scrivendo questo libro?
«Parecchio, mi sono preso un bel rischio scrivendo un omaggio alle atmosfere di Sherlock Holmes ma non intendo rinunciare al divertimento. La vera sfida era voler costruire un giallo classico a enigmi, una partita a scacchi in un momento in cui abbondano sia gialli elementari sia quelli molto truculenti, con tanto sangue ma poca materia cerebrale».

Perché questa sfida?
«Perché in un romanzo poliziesco che si rispetti il duello non è tra l’assassino e il detective, ma tra l’autore e il lettore».

Come mai ha scelto di ambientarlo negli anni ’60?
«Perché il mondo di oggi è povero e volgare. Negli anni ’60, invece, i gentleman erano gentleman e i cafoni erano cafoni, eppure, si respirava già un’aria di modernità che trovavo molto intrigante».

L’hanno mai censurata?
«Sì. Ho scritto una trilogia con Lorenzo Falcò (edita da Rizzoli, ndr), un vero macho, una spia franchista. In America mi chiesero di epurare qualche scena e renderlo più politicamente corretto ma uno scrittore nasce libero e tale deve restare. Ho rifiutato e quei libri non sono stati pubblicati»

Si è pentito?
«Nient’affatto, lo rifarei ancora. Oggi dobbiamo combattere, magari la prossima generazione di autori dovrà arrendersi e ogni cosa dovrà soddisfare il filtro del politicamente corretto. Ma non è ancora giunto quel momento, per fortuna».

La preoccupa la moda del politicamente corretto?
«La verità è che oggi la gente si indigna e giudica il passato, senza capire. Se scrivo di un condottiero del XV° secolo, non è plausibile che si comporti come fosse il medico di una Ong o come Greta Thunberg. La gente si indigna perché i romani hanno attaccato Siracusa o perché hanno sottomesso i Galli, è assurdo. Tutto questo voler giudicare crea solo una gran confusione».

Bestsellerista internazionale, lei è stato anche un reporter di guerra. Oggi come sta l’Europa?
«Male. L'Europa non esiste più, è un parco tematico per turisti analfabeti. Personalmente sono felice perché ogni giorno scrivo in mezzo ai libri, dentro la mia vasta biblioteca. Ma sono consapevole che l’Europa è al tramonto, sta morendo un mondo intriso di cultura, proprio come l’Impero Romano che regnava su tutto, scomparve con l’arrivo dei Barbari. Ma, le dirò, io sono felice di poter assistere a questo tramonto».

Perché mai?
«Perché intellettualmente parlando, è uno spettacolo appassionante. Chi ha letto Marco Aurelio sa bene che la storia è fatta di corsi e ricorsi storici e stoicamente, puoi accettarlo ma per gli ignoranti è solo caos e distruzione. La cultura ci aiuta a cogliere lo spirito del tempo e ci insegna ad uscire di scena senza trambusto. Ma talvolta, lo ammetto, mi sento come il Principe di Salina di Tomasi di Lampedusa...».

Quali sono i suoi maestri?
«Chi ha letto Dante e Omero ha già trovato i propri maestri. Poi Moravia, Pasolini, Manzoni, Croce e Malaparte. Mi piace più rileggere i vecchi classici piuttosto che andare in cerca di nuove voci, lo ammetto».

Hopalong Basil, il protagonista di questo libro, tornerà?
«Me l’hanno chiesto i lettori spagnoli ma non credo. Alla mia età quanti romanzi scriverò ancora? Uno, due, dieci? Devo scegliere le storie che voglio raccontare».

E i suoi prossimi libri italiani saranno pubblicati da Settecolori?
«Abbiamo già annunciato tre inediti, questo editore mi ha sorpreso. Fanno le cose con amore, lavorano con una cura artigianale, un entusiasmo che il mio precedente editore aveva smarrito. Sì, era il momento di cambiare».