Viviamo in tempi in cui la suscettibilità sembra aver preso il posto del buon senso. Basta poco – una parola fuori posto, una dimenticanza innocente, uno sguardo interpretato male – perché qualcuno si senta profondamente offeso. $ come se fossimo diventati specialisti nel fare di ogni talpaia (alta da 5 a 10 centimetri) una montagna, trasformando inezie quotidiane in drammi esistenziali. Ma perché accade? Dietro questa ipersensibilità dilagante si nasconde spesso una percezione distorta della realtà, alimentata da fragilità personali, pregiudizi e risentimenti irrisolti. Per molte persone ogni piccolo errore altrui – reale o presunto – diventa un pretesto per sentirsi vittime. Così un semplice ritardo, una battuta innocente diventano “delitti” contro la propria dignità. Spesso un fattore determinante in questo fenomeno è lo spirito di parte.
Quando a compiere una leggerezza è “uno dei nostri”, la si giustifica o si finge di non vedere. Ma se a farlo è qualcuno percepito come “diverso” ecco che si alza subito il dito accusatore. Lì dove prima c’era tolleranza, improvvisamente ’è indignazione. E questo contribuisce a creare una trappola emotiva che ci impedisce di valutare con lucidità e umanità i comportamenti altrui. Altri ancora sono sempre sulla difensiva perché hanno ferite aperte, insicurezze profonde. Non è tanto ciò che viene detto, quanto ciò che viene percepito. E quando si è vulnerabili si tende a percepire minacce anche dove non ce ne sono. E poi ci sono quelli che, dietro l’offesa, nascondono un risentimento più antico. Sono persone che nutrono rancore verso qualcuno e che aspettano solo un’occasione per farlo emergere. In questi casi, ogni piccolo passo falso dell’altro – anche insignificante – diventa un’ottima scusa per attaccare, criticare, punire. Ma non si tratta di giustizia: è solo vendetta travestita da indignazione morale.
Il punto è che questa costante esasperazione dei dettagli non fa bene a nessuno. Alimenta tensione, diffidenza, conflitti inutili. Chi fa di ogni talpaia una montagna finisce per vivere in uno stato di perenne irritazione, trascinando anche gli altri nel vortice del proprio malessere. La vera saggezza, invece, sta nel saper distinguere ciò che conta da ciò che si può lasciar correre. Non è indifferenza, ma equilibrio. $ la capacità di non lasciarsi destabilizzare da ogni piccolo scossone emotivo. $ scegliere, consapevolmente, di non reagire sempre, di non pretendere sempre giustizia immediata, di non leggere offese dove c’è solo goffaggine o distrazione.
Non è solo una questione di educazione o maturità: è anche una forma di amore, per sé e per gli altri. Perché esagerare le colpe altrui, ingigantire gli errori, mette distanza tra le persone. Mentre minimizzare, lasciar correre quando è possibile, avvicina, unisce, rende la vita più leggera. Serve forza d’animo per non cedere alla tentazione dell’offesa facile, e serve intelligenza per capire che non tutto merita una reazione. Chi è veramente forte non è colui che reagisce sempre, ma colui che sa quando vale la pena farlo. E, soprattutto, quando no.