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Governo tra conti, tasse, rigore e flessibilità: le contraddizioni di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan

Giulio Bucchi
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Accordo pieno con il «rigorista» Wolfgang Schaeuble (messo addirittura nero su bianco in un intervento a quattro mani sul Wall Street Journal), rispetto totale di tutti i vincoli europei e perplessità sulla crescita italiana. Dopo la plateale smentita delle proposte sugli eurobond avanzate dal sottosegretario Graziano Delrio, Pier Carlo Padoan continua a tracciare i confini del doppio forno sulle politiche economiche. Da una parte c'è il premier Matteo Renzi, che sbandiera ogni cinque minuti il via libera alla flessibilità ottenuta dal Consiglio europeo, che risponde a brutto muso alla Germania, accusandola di avere lei per prima violato le regole, che mette in riga la Bundesbank, ricordandole che non si deve occupare di politica, che sprizza ottimismo da tutti i pori, sostenendo che gli 80 euro stanno mettendo il turbo all'economia. Dall'altra c'è il ministro dell'Economia, il tecnico arrivato dal Fondo monetario internazionale, che non perde occasione per ricordare che le regole si devono rispettare, che la stabilità è importante e che le cose non vanno così bene come si potrebbe immaginare. Il programma economico del governo B è andato in scena qualche giorno fa sulle pagine del Wall Street Journal dove Padoan ha firmato un articolo insieme al ministro delle Finanze di Berlino per illustrare i prossimi passi del semestre europeo. L'idillio con il collega tedesco non poteva essere più totale. A partire proprio dalla flessibilità, che non è un imperativo da mettere subito in pratica, ma una parola che andrà declinata alla fine di un percorso a tappe il cui presupposto è che i trattati e le regole non si cambiano. Altro che rivoluzione. «Noi crediamo», scrivono i due ministri, che la crescita può essere raggiunta applicando in pieno l'attuale intelaiatura finanziaria europea». Detto in altre parole: la soglia del 3% per il deficit sarà pure, come dice Renzi, un vincolo difficile da spiegare e da rispettare, ma è prevista da Maastricht e non si tocca. Lo stesso vale per gli obiettivi di rientro di debito e deficit, che devono puntare rispettivamente al 60% del Pil e al pareggio di bilancio. Al limite si può tornare a ragionare, e questa volta tentando di portare qualcosa a casa, su quali investimenti escludere dal patto di Stabilità per favorire lavoro e sviluppo. La flessibilità possibile è tutta qui, nello scorporare dal bilancio pubblico, ai fini dei vincoli europei, alcune spese destinate alle infrastrutture o all'occupazione. Una possibilità già prevista dagli accordi di Maastricht e finora negata all'Italia. Se la stella polare è il rispetto delle regole, ulteriori sacrifici (quegli sforzi aggiuntivi chiesti dall'Europa che altro non sono che una manovra correttiva) non sono affatto esclusi. Ieri, infatti, il ministro dell'Economia ha spiegato che la ripresa economica «è ancora debole», che in molte aree «gli investimenti sono molto bassi» e che «la disoccupazione resta fortemente alta». Il problema, ha detto Padoan, intervenendo alla conferenza internazionale delle Casse depositi e prestiti di diversi Paesi, è che «l'incertezza macroeconomica e l'instabilità politica in alcuni Paesi hanno peggiorato la crisi, noi abbiamo bisogno di trovare una soluzione per fronteggiare l'attuale basso e inadeguato livello di investimenti». Insomma, una catastrofe. E le notizie che arrivano dall'Istat sui conti pubblici non sembrano migliorare di molto il quadro. Il rapporto il deficit/pil nel primo trimestre 2014 si sarebbe attestato al 6,6%, in leggero calo rispetto al 7,3% del primo trimestre 2013. Su base congiunturale, però, il deficit/pil risulta in netto rialzo: nel quarto trimestre 2013 era al 2,8%, mentre nel terzo era al 3,5% e nel secondo al 3,8%. Per trovare un valore analogo al 6,6% bisogna tornare indietro al primo trimestre del 2012, quando si attestò al 6,5%. In leggero calo la pressione fiscale: nei primi tre mesi del'anno è stata pari al 38,5%, in calo di 0,3 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Per quanto riguarda il bilancio dello Stato, il saldo primario (indebitamento al netto degli interessi passivi) nel primo trimestre è risultato negativo a 8.140 milioni di euro (era stato -9.948 milioni nel corrispondente trimestre del 2013). Il saldo corrente (risparmio) è invece risultato negativo per 17.684 milioni di euro, in miglioramento rispetto ai -18.815 milioni registrati nel corrispondente trimestre dell'anno precedente. Quanto alla domanda interna, il potere di acquisto delle famiglie consumatrici nel primo trimestre è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e dello 0,2% rispetto al 2013. In leggera ripresa la spesa delle famiglie, cresciuta dello 0,2%. di Sandro Iacometti twitter@sandroiacometti

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