Il bonus per pagare l'asilo e la badante. Ecco l'ultima novità in busta paga
Sulla carta è l' uovo di Colombo: si incentiva la produttività aziendale, si migliorano le relazioni tra datore e dipendenti e si mette in tasca ai lavoratori un voucher che equivale a denaro sonante che può essere speso per pagare l' asilo dei figli o la badante che si occupa del genitore anziano. Lo Stato rinuncia a ogni pretesa fiscale su questa somma, ma recupera comunque parte del gettito facendo emergere dal nero una quota importante di questi servizi. È quello che sta provando a fare il governo, ispirandosi all' esempio francese; il risultato, ovviamente, dipenderà da come l' idea sarà tradotta in pratica. Il presupposto è che il welfare pubblico non ce la fa più. In Italia e altrove i legislatori studiano il modo per farlo affiancare, e in parte sostituire, dal cosiddetto «secondo welfare», fornito dai privati. Con quali soldi, visto che il contante scarseggia? La risposta la dà la legge di stabilità all' articolo 12, quello che cambia il regime fiscale dei premi di produttività. È qui che il progetto entra in conflitto con le resistenze dei sindacati, Cgil in primis, ancorati al modello della contrattazione centralizzata. La manovra non si limita infatti a introdurre la tassazione agevolata al 10% per i premi di produttività, con tetto fissato a 2.000 euro lordi (che diventano 2.500 per le aziende «che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell' organizzazione del lavoro») e ad ampliare la platea dei beneficiari, innalzando a 50mila euro lordi l' asticella dei redditi ammessi all' incentivo. La legge punta anche a favorire, con una forte defiscalizzazione, lo sviluppo del welfare aziendale per i dipendenti e i loro familiari. Il welfare aziendale oggi è disciplinato dal Testo unico delle imposte sui redditi, il cui impianto risale al 1986: l' articolo 51 stabilisce che, ai fini fiscali, non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente le somme e i servizi erogati dal datore di lavoro «per la frequenza degli asili nido e di colonie climatiche da parte dei familiari» dei dipendenti, nonché «per borse di studio a favore dei medesimi familiari». Poca roba, insomma. Il testo della manovra stravolge questo vecchio impianto. La legge di stabilità allarga l' elenco a opere o servizi concessi ai lavoratori «per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto». Aggiunge inoltre i «servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali» forniti ai familiari dei dipendenti (welfare aziendale per i figli) e fa lo stesso con «i servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti» dei lavoratori (welfare per genitori, nonni e disabili). Ovvio che le aziende che producono pulegge o giornali, e in generale tutte le piccole e medie imprese, non possono attrezzarsi per fornire simili servizi. La soluzione individuata è la versione (molto) ampliata del vecchio "buono pasto". La legge di stabilità prevede infatti che «l' erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi da parte del datore di lavoro può avvenire mediante documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale». Il modello è il Cesu (Chèque emploi service universel) introdotto in Francia nel 2005: un "buono" che il datore di lavoro può dare come benefit integrativo ai dipendenti. I quali lo possono spendere in servizi alla persona destinati a loro stessi o ai familiari (baby sitter, asilo, colf, badanti...). Oltralpe è nato così un vero e proprio voucher universale. Il governo di Parigi lo ha defiscalizzato (sia per l' azienda sia per il lavoratore) per un importo pari a 1.800 euro l' anno, rendendolo talmente conveniente da farlo diventare una parte importante della contrattazione di secondo livello. Si è creato un mercato dove le multinazionali (come Edenred, leader nei buoni pasto con i Ticket Restaurant) concorrono per offrire alle imprese questi pacchetti di servizi da veicolare ai dipendenti. Secondo la manovra, il «Cesu» italiano prossimo venturo concorrerà al raggiungimento della soglia dei 2.000 (o 2.500) euro con il premio di produttività vero e proprio; ma a differenza di questo, che come visto sarà tassato al 10%, il voucher universale avrà tassazione pari a zero. Chiara la predilezione del governo nei confronti di questo strumento. Anche dal punto di vista politico, non è una mossa neutrale: la trattativa aziendale tra lavoratori e datore per questi servizi taglia fuori i sindacati e la vecchia contrattazione centralizzata. Se il modello si diffonderà, i primi a non esserne contente saranno le sigle confederali. Fausto Carioti