Pensioni, c'è un altro buco da 10 miliardi

di Giulio Bucchidomenica 19 gennaio 2014
Pensioni, c'è un altro buco da 10 miliardi
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C’è da scommetterci: presto (molto presto) il cantiere infinito della riforma delle pensioni verrà riaperto. Complice una crisi infinita che ha accelerato, se possibile, un dissesto finanziario insito proprio nel sistema generoso attuato negli ultimi 60 anni, presto si dovrà rimettere mano - magari questa volta in nome dell’equità intergenerazionale - al pericolosissimo dossier previdenziale. Pericolosissimo perché chiunque abbia messo mano al faldone previdenziale ne è uscito politicamente con le ossa rotte e quindi si intuisce la prudenza e la voglia di delegare ad altri la bomba innescata. La riforma seria  e sostenibile del sistema previdenziale è materia da statisti - con un orizzonte di 50, 100 anni - non da parvenu della politica, che gettano lo sguardo al prossimo (imminente) giro elettorale. Umanamente comprensibile che si voglia posticipare il problema. Peccato che intanto il buco si allarghi e che i parziali interventi  (Riforma Dini, Riforma Prodi, Riforma Damiano, Riforma Fornero), servano soltanto a tamponare l’imminente e non offrano alcuna prospettiva. Tanto più che diminuendo gli occupati, e  aumentando i cassintegrati, ne consegue che il gettito contributivo cala pericolosamente costringendo Pantalone a integrare ogni anno con cifre via via sempre più consistenti.  Pensioni d’oro - La crisi morde. E si rischia di innescare una pericolosa guerra tra poveri. Tra chi ha versato decine di anni di contributi, maturato un trattamento di tutto rispetto (sopra i 91mila euro lordi l’anno), ora oggetto di mille attenzioni. Giusto ieri l’astro nascente del Pd, Matteo Renzi, tratteggiava sintetico via Twitter «una posizione unitaria del Pd nelle prossime ore, con una soluzione che sia tecnicamente percorribile». Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) e un fronte trasversale di parlamentari vorrebbero mettere un tetto contributivo ai trattamenti. Vale a dire:  «Noi prevediamo che per la parte che eccede i 5mila euro», spiega nel dettaglio Guido Crosetto, un altro dei fondatori di Fdi, «ci sia il ricalcolo con il sistema contributivo. Se sono stati versati contributi corrispondenti per prendere una pensione anche da 90mila euro, si continuerà a prenderla. Ma se non sono stati versati, come noi pensiamo che sia avvenuto nella quasi totalità dei casi, allora tutta la parte in eccedenza viene revocata e con quella si aumentano le pensioni minime e di invalidità». Giusto? Sbagliato? Staremo a vedere. Il problema è che mentre il Parlamento discute (se ne parla da anni, l’ultima proposta è dell’estate scorsa), è  solo domani che arriverà in  commissione Lavoro, dove è prevista la discussione e il voto della proposta di legge a firma di Meloni.  Poste, Fs e Inpdap - In attesa di vedere cosa succederà prima in commissione e poi in Aula, di sicuro c’è che i “giochini” attuati negli ultimi 15 anni con il far  transitare formalmente da un fondo all’altro e poi in capo all’Inps fondi malmessi (e mai stati sostenibili)  hanno la firma di ogni maggioranza che si è alternata a Palazzo Chigi. Basta fare due calcoli semplici semplici per rendersene conto. L’ex gestione Inpdap (dipendenti pubblici), ha portato in dote all’Istituto previdenziale pubblico un buco di 6,4 miliardi di euro (dati 2013). L’ex Fondo Fs è costato in integrazioni statali ben 4 miliardi nel 2013 (4,3 miliardi per il 2014, che salgono a 4,35 miliardi per ciascuno degli anni 2015 e 2016). E quello delle Poste (ex Ipost),  altri 990 milioni (2013). A spanne 12 miliardi che lo Stato, ovvero tutti noi, dovremo sborsare per mandare in pensione decine di migliaia di persone perché lo Stato non ha mai messo da parte i contributi di questi lavoratori (che prima erano virtuali), facendo leva su un sistema a ripartizione. Che funzione finché la platea dei lavoratori è anagraficamente giovane (e i contributi affluiscono copiosi), che regge fintanto che  si batte moneta e si aumenta il debito pubblico. Ma che entra in collisione quando si applica un sistema (contributivo) agganciato agli effettivi contributi versati, al rendimento che questi maturano negli anni. Insomma, il famoso montante contributivo, quel tesoretto di contributi (e interessi) che in teoria ognuno accumula, ma che - guarda caso - lo Stato ha fatto finta per decenni di scordarsi di accantonare. Interventi tampone - E così, senza un intervento proiettato a 50 anni (la scienza previdenziale si basa su proiezioni di sostenibilità attuariale oltre il mezzo secolo), tutte le riforme, le modifiche e i sacrifici sono e restano una semplice pezza che dura il tempo di un soffio (o di un governo). Se poi ci si mettono anche i ministri (come madame Fornero), che dimentica qualche centinaio di migliaia di lavoratori nel limbo degli esodati, la frittata è bella e fatta. Dimenticanza o furbizia da esperta di conti, visto che il bilancio Italia portato all’esame di Bruxelles ha ricevuto il consenso di Ue e Bce solo perché taroccato da una variabile che oggi viene valutata in 11 miliardi, ovvero il costo della “dimenticanza” degli esodati. Se la riforma ne avesse effettivamente tenuto conto né a Bruxelles, né a Francoforte ci avrebbero tenuto a galla ma imposto misure modello Grecia.  Altri 10 miliardi - Ieri  il Sole 24 Ore pubblicava i dati e le proiezioni per i prossimi 3 anni. «Nel 2013 infatti i trasferimenti dello Stato all’Inps hanno toccato i 112,5 miliardi. Sette miliardi secchi in più (+6,6%) rispetto ai 105,6 miliardi che è costata la bolletta pubblica per coprire lo squilibrio tra entrate contributive e prestazioni erogate dall’ente pensionistico italiano». Dal 2008 ad oggi i trasferimenti sono cresciuti del 53%: dai 73 del 2008 ai 112 del 2013.  Il dramma è che secondo le stime del ministero dell'Economia la spesa non conoscerà soste neanche nei prossimi anni. «La nota tecnica del Mef prevede una mole di trasferimenti pubblici che raggiungerà nel 2014 i 119 miliardi che saliranno a 122 miliardi a fine 2016». Non sarà certo chiedendo altri (incostituzionali) contributi di solidarietà che si invertirà la tendenza. di Antonio Castro

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