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Carlo De Benedetti, Domani è una vendetta contro i figli: tradito dalla vendita di Repubblica agli Agnelli-Elkann

Renato Farina
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Carlo De Benedetti, l'Ingegnere, è indomito. A 85 anni pensa al Domani. Così chiamerà il quotidiano che sta progettando e trasferirà entro gennaio in edicola e sul web. Ma Domani è soprattutto la cifra esistenziale con cui pensa sé stesso e la sua vita da qui all'eternità, e forse oltre, se troverà modo di fregare anche Jahvè. Domani, comunque domani. Vuole infilare una lancia mortale nei fianchi di Repubblica, la figlia prediletta, ormai invasa dagli alieni Agnelli-Elkann e dunque meglio che muoia, o almeno si dissangui.

Ma non è banale vendetta, una faida da parentume. Vuole che perduri in una creatura editoriale il suo dna profondo, una vibrazione di conquista. Ha sempre sognato di possedere spiritualmente l'Italia. Per fortuna ogni volta che pareva avercela fatta, specie quando marciava con Eugenio Scalfari, poi il castello franava, perché queste bestie di italiani alla fine buttavano giù l'eroe che i due si erano incaricati di portare al potere. Ma per che cosa vivere se si rinuncia ai sogni. E così, non si dà pace. Maledetto il giorno in cui regalò Repubblica-Espresso e quotidiani e radio e tivù ai figli Rodolfo e Marco (l'altro, Edoardo, è medico in Svizzera) insieme con tutte le sue attività imprenditoriali.

Basta così. Aveva cercato di riacquistare lui il pacco. Ma la sua stirpe, piuttosto che riconoscere la superiorità del vecchio capostipite, lo ha sfregiato svendendo al nemico la creatura prediletta come fecero i figli di Giacobbe con Giuseppe, dandola via come schiava al nemico, gli atlantici, i liberali sì ma poco progressisti, della Fiat. Lo sappiamo tutti com'è andata. Gli eredi De Benedetti, visti i conti in rosso e la propria inesorabile insipienza editoriale, hanno preso i soldi e lasciato il quotidiano fondato da Scalfari con il resto del gruppo alla Gedi (=Fiat). Carlo Verdelli è stato liquidato in malo modo, e sostituito da Maurizio Molinari, con un pedigree che non ha nulla a che fare con Lotta Continua o con l'Unità o il Manifesto, ma addirittura (orrore!) con la Voce Repubblicana di La Malfa e Spadolini.

Il giorno dopo l'Ingegnere ha dichiarato al Foglio che avrebbe dato vita a un quotidiano che occupasse lo spazio lasciato vuoto dal tradimento di Repubblica. Poche settimane e il disegno si è palesato, con tanto di nome dell'avventura. Pare che designato sia Stefano Feltri, nessuna parentela con chi state pensando, un passato da vicedirettore de Il Fatto, ed esperienza americana da economista. Le firme? Pare che tra i più gallonati della crème progressista stanziale a Repubblica, nessuno sia disponibile all'Esodo: non vogliono rischiare di perdere le puzzolenti ma ricche cipolle d'Egitto, per avventurarsi con questo vecchio Mosè sognatore.

 

 

Pare che per mettere in mare una corazzata abbia chiesto di aprire il suo portafoglio molto progressista a Carlo Feltrinelli, il quale non pare aver intenzione di sganciare il malloppo consegnandolo all'ardore di un signore anziano. Magari ci fosse stato il padre Gian Giacomo, qualche milionata l'avrebbe buttata volentieri nella rivoluzione magari un po' borghese dell'Ingegnere, visto che Fidel Castro è morto. Ma il figlio Carletto, ottimo manager, ha un'altra indole. E ha lasciato solo Carlone senior, che è comunque determinato ad armare almeno un brigantino. I denari per l'impresa non mancano, anche se cavarseli di tasca è sempre doloroso: De Benedetti, assicurava il Foglio a margine dell'intervista barricadera, ha una provvista personale, nonostante quel che ha mollato sciaguratamente ai figli, di 600 milioni di euro. Poca roba rispetto ai turbocapitalisti, in Svizzera con un gruzzolo così ti inseriscono nel ceto medio, ma pur tuttavia sufficiente per qualche gita sulla barca.

Davanti al niet dei compari miliardari di sinistra, De Benedetti non si è pertanto arreso. Ieri a Torino, davanti al notaio Silvia Lazzaroni, ha costituito con un capitale di 10 milioni, la "Editoriale Domani spa" posseduta da due società di cui De Benedetti è azionista unico, presidente è il senatore Luigi Zanda. Nel cda siedono Giovanni Canetta, Federica Mariani, Virginia Ripa di Meana, Massimo Segre e Grazia Volo. Sempre ieri è iniziato l'iter per la costituzione della "Fondazione Domani". E sarà la Fondazione e non la reproba discendenza che manterrà vivace il sangue di Carlo, o per essere più precisi, il suo inchiostro per saecula saeculorum. E se non ci saranno più né inchiostro né carta, qualcosa comunque si inventerà per trasmettere notizie, racconti, commenti.

Soprattutto per spostare gli equilibri dell'Italia e dell'universo. Ci ha provato attraverso l'impero mediatico costruito nei decenni e oggi dilapidato. La filosofia di Domani sarà quella di sempre: impugnare i famosi quarto e quinto potere per dirigere i primi tre secondo l'idea di giornalismo e di editoria condivisa da Carlo De Benedetti con Eugenio Scalfari. La sua storia non può finire come il guizzo della trota servita dai figli traditori in bocca al pescecane Agnelli. Così, invece di consegnare la sua persona a un mausoleo, che trasformi la sua memoria in monumento e costruisca ospedali in Africa, De Benedetti cercherà di conquistare Palazzo Chigi, Quirinale, Palazzo di Giustizia, Banca d' Italia e Rai da vivo o da morto.

Non riuscendoci più oggi, sarà domani, clonandosi in un'impresa editoriale. Ad essa metterà a disposizione quel che avanzerà del suo patrimonio personale, una volta somministrate le quote di legge per gli eredi, a meno che la Svizzera, di cui è cittadino, gli consenta di evitare questi salassi per figli che non lo meritano. La notizia insomma non è che nasce un nuovo quotidiano. In sé non sarebbe granché. Pare avrà otto pagine, poca roba. A Repubblica stimano che quando vedrà la luce, venderà una decina di migliaia di copie, sottraendone due-tre mila con qualche atto di pirateria alla ammiraglia.

A noi interessa molto, e ci mette di buon umore, che un uomo di 85 anni, che ha fatto di tutto e di più, invece di imbarcarsi in melensi ragionamenti sulla depressione cosmica da Coronavirus, sia già con la testa a domani e dopo domani. Al diavolo la noia. Ci sarà da cambiare il mondo o conservarlo. E invece di sfidare una sinistra ammuffita, che si crogiola di Bella ciao, sarà interessante incrociare le penne e le pagine e i siti web, e forse persino dei ragionamenti, con uno che si sveglia al mattino, a 85 anni, con la voglia di scoprire nuove terre e antichi tesori. A domani.

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