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Embargo sul gas, quanto pagheremo in più all'anno con i razionamenti

Michele Zaccardi
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Elettrodomestici spenti, niente acqua calda e fornelli a secco oltre un certo orario, riscaldamento al minimo. In una parola: razionamenti. In caso di embargo sul gas russo, si tornerebbe a un'economia di guerra. O, se si preferisce, all'austerità anni '70. Insomma, gli italiani dovrebbero cambiare molte delle loro abitudini. E pagare un conto di oltre 3mila euro in più in un anno. A lanciare l'allarme sulle conseguenze di uno stop, autoinflitto, alle forniture russe di metano e petrolio è Assoutenti. «In caso di effettivo embargo del gas» scrive in un comunicato l'associazione di tutela dei consumatori, «a partire dal prossimo autunno si registreranno conseguenze dirette per milioni di famiglie e imprese italiane che costringeranno i cittadini a rivoluzionare del tutto le proprie abitudini quotidiane». Per Assoutenti, gli effetti di un blocco delle forniture russe, sarebbero peggiori di quelli stimati da Bankitaila, che ha ipotizzato una crescita dei prezzi dell'8%. Ma anche prendendo come riferimento i dati di Palazzo Koch, le famiglie spenderebbero 3.192 euro in più mentre i consumi potrebbero contrarsi del 5%.

 

AUTUNNO - «Uno stop alle importazioni del gas russo farebbe sentire i suoi effetti in particolare a partire dal prossimo autunno» spiega Assoutenti. «La riduzione delle disponibilità di energia porterebbe inevitabilmente ad un razionamento delle forniture che colpirebbe sia le attività produttive, sia le famiglie». Secondo l'associazione, verrà limitato il consumo di elettricità nelle case. Questo mentre ci potrebbe essere una sospensione nelle forniture di gas nei condomini a certe ore della giornata. Le famiglie, dunque, non potranno cucinare, usare l'acqua calda e accendere il riscaldamento. Il tema è più caldo che mai. Infatti, pochi giorni fa il Parlamento Ue ha approvato a larga maggioranza una risoluzione per chiedere la messa al bando del metano e di qualunque altra fonte di energia proveniente da Mosca. Secondo Davide Tabarelli, fondatore di Nomisma Energia, l'embargo votato a Strasburgo è una «strada certamente percorribile».

 

 

Per farlo, però, «occorre fare un razionamento: i 29 miliardi di metri cubi di gas che prendiamo dalla Russia non sono sostituibili in pochi mesi» spiega a margine della conferenza stampa indetta da Assopetroli-Assoenergia. «Se arriviamo a 15 è già un successo, ma ne mancano comunque altri 14» conclude Tabarelli. La mozione del Parlamento Ue è stata seguita, poco dopo, dalle parole di Mario Draghi, con le quali il premier ha affermato che l'Italia si adeguerà alle decisioni di Bruxelles su un eventuale blocco delle forniture russe.

NOMISMA - Al premier ha risposto, a distanza, il presidente nazionale dell'Unione per la Difesa dei Consumatori, Denis Nesci. «Ridurre il consumo energetico, ponendolo come presupposto per la pace, suona come una presa in giro» ha attaccato Nesci. «In questo modo ricadrebbero sui cittadini scelte di cui è il Governo ad essere responsabile». Secondo l'associazione, infatti, già prima della guerra in Ucraina gli italiani erano in «condizioni disastrose», colpiti dai rincari insostenibili delle bollette. «Il Governo dovrebbe spiegare se l'economia sia in grado, o meno, di sostenere un ulteriore razionamento dei consumi. L'aumento dei prezzi dell'energia, del carburante e del carrello della spesa è una costante già dall'inizio della pandemia» commenta Nesci. Il costo delle materie prime, infatti, ha provocato aumenti dappertutto, con punte anche del 150%. I rischi di quanto sta succedendo, prosegue Nesci, sono «mezzo milione di occupati in meno, oltre 4 milioni di cittadini ridotti al lastrico e la chiusura di moltissime aziende». La richiesta che viene dalle associazioni dei consumatori è di un sostegno deciso da parte del governo per attutire i colpi della crisi energetica. Ma anche le categorie dei distributori di metano e petrolio sono sul piede di guerra. E minacciano lo sciopero per tre giorni, dal 3 al 5 maggio, se nel prossimo provvedimento Palazzo Chigi dovesse ignorare le loro richieste. In bilico c'è una filiera di 20mila addetti, oltre 1.500 punti vendita, più di un milione di famiglie a basso-medio reddito. 

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