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Supermercati, il dramma degli italiani: a cosa stanno rinunciando, Paese in allarme

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Attilio Barbieri
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I prezzi salgono. E continueranno a farlo ancora per un bel po'. Perfino i più ottimisti cominciano a ragionare in termini di anni e non più di mesi, per tornare alla situazione precedente la crisi mondiale delle materie prime e la guerra in Ucraina, provocata dall'invasione russa. La stima più interessante sulle conseguenze del carovita sul bilancio familiare è quella diffusa in settimana dalla direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo che ne ha simulato gli effetti combinati in relazione al reddito e alla capacità di spesa dei nuclei familiari. Se sulle imprese pesano extracosti per 188 miliardi di euro, attutiti soltanto in parte dai ristori introdotti dal governo, sulle famiglie l'inflazione ha effetti molto diversificati. «L'onere aggiuntivo per nucleo familiare si colloca mediamente su 2.000 euro», scrivono gli analisti di Intesa, «con un minimo di 1.462 euro per il quintile più povero e un massimo di 2.495 euro per il quintile più ricco». Ma questa forbice che vale circa mille euro e discende dal tenore di vita caratteristico dei due gruppi differenziati da reddito e patrimonio, nasconde reazioni molto diverse. «Le famiglie più abbienti potranno assorbire i maggiori costi attingendo alla propria quota di risparmi», si legge ancora nello studio, «cosa che potranno fare con molta più difficoltà le famiglie a più basso reddito che - in assenza di politiche di supporto - saranno spinte a consumare di meno».

 

 

 

IL SONDAGGIO

Un approccio che emerge anche nel sondaggio condotto sempre in settimana dalla Coldiretti sul proprio sito internet (www.Coldiretti.it), dedicato proprio alla reazione dei consumatori di fronte agli aumenti. Un italiano su due, precisamente il 49% dei rispondenti, ha già deciso di tagliare il costo del carrello della spesa, «mentre un altro 13% di italiani dichiara di aver ridotto la qualità degli acquisti, costretto ad orientarsi verso prodotti low cost per arrivare a fine mese» fa sapere la confederazione dei coltivatori guidata da Ettore Prandini. Paradossalmente i produttori di materie prime alimentari non stanno beneficiando in alcun modo di questi aumenti dei prezzi al consumo. Anzi, accade esattamente il contrario. Sei prezzi per le famiglie corrono, spinti dal caro energia e dalla guerra, l'aumento dei costi colpisce duramente- precisa la Coldiretti- l'intera filiera agroalimentare, con i compensi riconosciuti agli agricoltori e agli allevatori che non riescono neppure a coprire i costi di produzione.

 

 

 

UNO SU 10 VICINO AL CRAC

Più di una azienda agricola su dieci - precisamente l'11% - è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell'attività. E circa un terzo delle attività legate all'agricoltura e alla zootecnia, si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell'aumento dei costi di produzione. «Uno tsunami», dice Coldiretti, «che si è abbattuto a valanga sulle aziende agricole con rincari per gli acquisti di concimi, imballaggi, gasolio, attrezzi e macchinari che stanno mettendo in crisi i bilanci delle aziende agricole. Nelle campagne si registrano aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio con incrementi dei costi diretti di oltre 15.700 euro in media ma con punte superiori a 47mila euro per le stalle da latte e picchi fino a 99mila euro per gli allevamenti di polli, secondo uno studio del Crea». Fra l'altro ben difficilmente, anche superata l'emergenza dell'Ucraina, la struttura dei costi e quindi dei prezzi di vendita, tornerà quella di prima. «Si prevede», scrivono gli analisti di Intesa, «che l'aumento di costo dell'energia sarà strutturale e difficilmente si tornerà ai prezzi precedenti la guerra». L'unico modo per riequilibrare i bilanci familiare è aumentare i redditi. 

 

 

 

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