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Bce, il "vaffa" del super-banchiere italiano: "Ricompriamo il nostro debito", qui crolla l'Europa

Sandro Iacometti
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Parola d'ordine: niente panico. L'Italia ha fondamenta robuste ed è in grado di resistere a turbolenze ben più violente di quelle innescate dal maldestro balletto della Bce sulle prossime mosse di politica monetaria. Neanche la recessione deve spaventare più di tanto, perché il Paese, tassi o non tassi, dimostrerà di saper crescere anche in un contesto avverso. Ma il messaggio lanciato ieri da Carlo Messina è qualcosa di più e di diverso da qualche manciata di ottimismo buttata lì per rasserenare gli animi. Di fronte all'ennesimo attacco degli speculatori sui titoli di Stato e ad un debito pubblico che, rilevazione diffusa ieri da Bankitalia, ad aprile ha toccato il nuovo record di 2.758 miliardi, il numero uno di Intesa Sanpaolo, solitamente attento a non sconfinare e a misurare le parole, ha deciso di parlare fuori dai denti, di puntare dritto sull'obiettivo e di tracciare in maniera netta la direzione per liberare il Paese una volta per tutte dalla schiavitù della Bce e dei mercati. «Noi in Italia non abbiamo un problema di sostenibilità del debito pubblico», ha premesso il manager, intervenendo al convegno Young Factor organizzato a Milano dall'Osservatorio permanente Giova ni -Editori, «questo deve esse re un messaggio chiaro». Poi, l'affondo: «Il tema, però, è se vogliamo essere liberi e indi pendenti. Che si parli solo di indipendenza energetica e alimentare e non si parli anche di indipendenza finanziaria mi pare un'idiozia».

 

SOVRANISMO Qualcuno, ossessionato dal sovranismo, potrebbe storcere il naso. Ma il ragionamento non fa una grinza: se tutti i giorni invochiamo la necessità di conquistare la nostra au tonomia sulle fonti energetiche, sulle materie prime e sugli approvvigionamenti di cibo per non finire sotto ricatto, per quale motivo non dovremmo farlo anche sul fronte della finanza pubblica e privata? Sgombriamo subito il campo dalle possibili analogie coi vecchi proclami contro la Ue, contro l'euro, contro le istituzioni monetarie che ci tengono al guinzaglio. Nelle parole di Messina non c'è nulla di eversivo, ma solo pragmatismo e, che non guasta, un po' di orgoglio nazionale. «L'Italia è forte, ha la forza e le condizioni strutturali per fare le cose in autonomia», ha spiegato, «e deve fare le cose in autonomia senza essere attaccata al bocchettone di Francoforte, soprattutto considerato che è un Paese che ha dieci trilioni di risparmi. Servono piani che accelerino la crescita, ma riducano la dipendenza dalla Bce. Partiamo da quello che abbiamo nel nostro Paese, sempre nella logica di avere sostenibilità e indipendenza». E nell'Europa bisogna starci, ma bisogna starci da leader, perché altrimenti «diventeremo completamente marginali e lo diventerà anche l'Europa stessa», e quindi «rimarranno solo Cina e Usa».

 


Per evitare questo bisogna smetterla anche, come molti nel governo fanno, compreso lo stesso Mario Draghi, di invocare l'aiuto di Bruxelles con il cappello in mano. Perché «avere troppe attese sul fatto che altri Paesi, che magari come condizioni strutturali sono anche meno ricchi di noi, e immaginare che questi possano sostenere e il nostro debito pubblico è una cosa che non è degna di un Paese che vuole essere un leader in Europa».
 

 

LIBERTÀ Quanto al modo in cui riconquistare la nostra libertà, il piano è chiaro. Lo spread, con i «fondamentali dell'Italia» che «sono solidi, anzi solidissimi in termini di risparmio delle famiglie e altrettanto dal lato corporate», dovrebbe essere a 100-150 punti base. Se viaggia abbondantemente sopra i 200 e minaccia di non fermarsi è perché siamo appesi alle mosse, non sempre azzeccate della Bce, che dopo due annidi acquisti di Btp ha in pancia una fetta enorme del nostro debito pubblico. Ed ecco allora la soluzione, piuttosto che affidarci agli scudi antispread della Lagarde, che rischiamo di pagare a caro prezzo, usiamo una parte dei nostri 10mila miliardi di ricchezza privata per ricomprarci il nostro debito. E con esso la nostra libertà. È un appello all'Italia e agli italiani, quello di Messina, ma anche alle banche, alle assicurazioni e al governo, che dovrebbe aiutare, agevolare e accompagnare questo percorso di liberazione dalla speculazione finanziaria. Magari facendo il contrario di quello che qualcuno voleva fare infilare dentro la delega fiscale un bell'aumento della tassazione sui titoli di Stato. Messina non è il primo a lanciare l'idea di riportare in Italia il debito. Ma forse se invece di qualche politico o economista di parte a proporlo è il capo della prima banca italiana c'è la possibilità che qualcuno prenda l'ipotesi un po' più seriamente di quanto sia stato fatto in passato.

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