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Superbonus, banche a rischio: che fine faranno i nostri soldi

Attilio Barbieri
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Ci mancava soltanto l'Agenzia delle Entrate a imporre alle banche più attenzione nell'accettare la cessione dei crediti fiscali legati al superbonus del 110%. Dopo una scia ininterrotta di revisioni normative, aggiunte, precisazioni e interpretazioni iniziate lo scorso anno, la cessione dei crediti- già quasi ferma- rischia di incepparsi definitivamente. La mazzata finale è contenuta in una circolare diffusa l'altroieri dall'Agenzia delle Entrate contenente ulteriori precisazioni sull'acquisizione da parte delle banche dei crediti fiscali in possesso di costruttori e general contractor.
Il documento contiene un richiamo pressante agli istituti di credito invitati a porre la massima «diligenza» nel verificare i requisiti della cessione del credito. In difetto le banche possono essere chiamate a rispondere in solido per gli eventuali illeciti ai danni dell'Erario. Per giustificare questa nuova stretta l'agenzia guidata dal vulcanico Ernesto Maria Ruffini ha richiamato l'entità delle frodi scoperte dalla Guardia di Finanza: 5,6 miliardi di euro.

INDAGINI MINUZIOSE - A sua volta l'Associazione bancaria italiana ha inviato agli associati una circolare che illustra i nuovi rischi insiti nell'acquisizione dei crediti fiscali legati al superbonus.
Richiamando banche e banchieri a esercitare «una qualificata ed elevata diligenza professionale». L'Agenzia delle Entrate prevede infatti che la verifica circa la responsabilità in solido del singolo cessionario debba essere condotta, «caso per caso, valutando il grado di diligenza effettivamente esercitato che, nel caso delle banche, deve essere particolarmente elevato e qualificato».

 

 

 

Una doppia fregatura per gli istituti di credito, chiamati a indagare sulla bontà del credito fiscale che stanno per acquistare e sull'affidabilità del costruttore che lo sta cedendo loro. Con la prospettiva di finire comunque nei guai qualora il Fisco ravvisasse una qualunque irregolarità.
L'Abi sottolinea agli associati che i chiarimenti diramati dall'Agenzia delle Entrate rappresentano in pratica delle cogenti linee guida in merito alle operazioni relative al Superbonus. Insomma: non si scappa. Bisogna tenerne conto e comportarsi di conseguenza. Facile immaginare che a questo punto i rubinetti per la monetizzazione del superbonus, già quasi chiusi, verranno quasi sicuramente serrati del tutto, ora che l'equazione bonus-frodi è stata rafforzata dal decalogo stilato dalle Entrate.
Non sono mancate le reazioni politiche a questo nuovo altolà di carattere fiscale sulla cessione dei crediti. I parlamentari del Movimento 5 Stelle parlano di «fake news sulle frodi per delegittimare il bonus» che riguardano il 110% soltanto nel 3% dei casi.


 

 

 

 

ESAURITI - E pure Fratelli d'Italia punta il dito sulla vicenda. «Il blocco del mercato della cessione dei crediti sta mandando in crisi le imprese che volevano usufruire del Superbonus e si trovano ora impossibilitate a cedere i crediti accumulati perché le banche hanno terminato i plafond a disposizione. Il dl Aiuti non risolve il problema perché prevede che gli istituti di credito possano cedere ai soli clienti professionali i crediti maturati a partire dal 1° maggio 2022, dunque i crediti precedenti, quelli che hanno saturato il mercato, restano al loro posto e non possono essere destinati altrove», afferma in una nota il senatore di FdI Nicola Calandrini, capogruppo in commissione Bilancio. Come se non bastassero gli ultimi sviluppi a imbrogliare ulteriormente la matassa, arriva pure l'avvertimento della Corte dei Conti che definisce il superbonus «distorsivo», giacché «ha comportato compensazioni fiscali che nel 2021 hanno raggiunto i 68,6 miliardi» e «ha visto nel biennio 2021-2022 cessioni di crediti e sconti in fattura per oltre 38,4 miliardi di euro». Insomma, ai magistrati contabili la compensazione fra imposte da pagare e crediti fiscali maturati a vario titolo, suona come una distorsione destinata a rendere meno certe, per lo Stato, le entrate fiscali e a provocare alla fine una «perdita di gettito». Meglio che i contribuenti paghino celermente le imposte e aspettino anche anni per ottenere i rimborsi dal Fisco. Una visione ragionieristica francamente un poco inquietante.

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