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Tasse, il giorno del taglio: di quanto cresce la busta paga

Antonio Castro
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 Semaforo verde della commissione Finanze della Camera alla delega fiscale. E così, come promesso e auspicato, il testo della riforma fiscale approderà oggi a Montecitorio per la terza ed ultima lettura, dopo le modifiche apportate al testo durante l’esame a Palazzo Madama. Evidente la soddisfazioni nella maggioranza. Mettere mano a inizio legislatura ad una riforma tanto impegnativa fa ben sperare dal portare a casa entro i prossimi anni(c’è tempo 24 mesi per partorire i decreti attuativi), una riforma organizzata di tutto il complesso corpo normativo tributario. Non una sfida da poco: l’impegno era di arrivare ad agosto con l’approvazione delle delega. Ed è stato rispettato. Ora bisognerà trovare le risorse per ribilanciare il prelievo fiscale.

CAPACITÀ DI BILANCIO
È vero che nella delega si ipotizza una transizione verso l’aliquota unica. Ma ci si arriverà per gradi. Bisogna infatti fare i conti con le reali capacità di bilancio. L’idea principale di ridurre le aliquote. La progressività sarebbe mantenuta attraverso le “detrazioni” che si focalizzerebbero su famiglia, casa, salute e istruzione.

L’intento principale non è solo di ridurre l’imposizione fiscale a carico di lavoratori e imprese. Ma anche di semplificare il modo di pagare le imposte, evitando di incorrere in sanzioni perché ormai la normativa è talmente complicata che si rischia di sbagliare pur volendo mettersi in regola. E infatti ai primi punti della riforma - che il governo spera di attuare già entro gennaio 2024 - spunta proprio la cancellazione delle sanzioni penali tributarie. A cominciare da «quelle connesse al reato di dichiarazione infedele, per le imprese che aderiscono all’adempimento collaborativo e che hanno avuto comportamenti collaborativi e comunicato preventivamente ed esaurientemente l’esistenza dei relativi rischi fiscali».

 

Gli occhi sono puntati sui primi interventi (e le promesse ventilate) che ipotizzano un corposo taglio delle tasse sulla tredicesima mensilità e sugli straordinari. Una delle modifiche al ddl introduce, al posto delle aliquote per scaglioni di reddito, un’imposta sostitutiva Irpef e delle relative addizionali in misura agevolata sulle retribuzioni corrisposte a titolo di straordinario che eccedono una determinata soglia e per i redditi riconducibili alla tredicesima. Per le imprese e le partire Iva, per il popolo dei professionisti e degli autonomi, viene introdotta la possibilità «di rateizzare gli acconti e saldi dell’Irpef e anche di prevedere una progressiva ed eventuale riduzione della ritenuta d’acconto». 

E così invece della batosta si attuerà una diluizione delle imposte da versare. A favore di contribuenti e imprese salta fuori anche la possibilità di non applicare sanzioni e/o interessi per «mancati versamenti Irpef regolarmente dichiarati nei riguardi di soggetti che vantano crediti verso la pubblica amministrazione». Insomma, non sarà più necessario versare un contributo se si ha un credito con lo Stato che si fa fatica ad incassare. Un altro emendamento prevede di poter «estendere le forme di pagamento comprendendo anche l’addebito diretto sul conto della banca o altri strumenti di pagamento elettronico».

Salta poi l’automazione del pignoramento dei conti. Gli emendamenti approvati prevedono solo «la razionalizzazione, informatizzazione e semplificazione della procedura di pignoramento dei rapporti finanziari». L’Erario potrà nei prossimi anni «affidare a soggetti privati la riscossione delle cartelle decadute perché superati 5 anni dall’emissione ma rimesse a riscossione in presenza di novità reddituali e patrimoniali».

RISCOSSIONE AI PRIVATI
Per individuare i nuovi «soggetti riscossori» verranno lanciate «gare pubbliche». E i riscossori «riceveranno una commissione in percentuale sull’importo riscosso». Per individuare i soggetti a maggior rischio verrà introdotto «un regime di adempimento collaborativo per le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza in Italia e per quelle che la mantengono all’estero ma possiedono in Italia, anche per interposta persona o tramite trust, un reddito complessivo mediamente pari o superiore a un milione di euro».

 

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