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La Germania in caduta libera trascina al ribasso l'Europa

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Attilio Barbieri
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La Germania sta pagando duramente gli errori commessi nelle scelte di politica economica negli ultimi vent’anni. La dipendenza energetica dalla Russia ha dato il primo colpo  all’economia tedesca. Ora è arrivato il secondo, legato alla fitta ragnatela di rapporti commerciali e industriali fra Berlino e la Cina. L’indice Hcob Germany Composite Pmi - che si basa su interviste quasi in tempo reale ai principali direttori degli acquisti nel manifatturiero e nel terziario è sceso ad agosto a 44,7 punti, ben al di sotto della previsione di 48,3.
La più forte contrazione dell’attività del settore privato dal maggio 2020, quando però il mondo era letteralmente paralizzato dalla pandemia da Covid.

Al calo sempre più profondo della produzione manifatturiera si è sovrapposta una rinnovata contrazione dell’attività dei servizi: sopra 50 punti l’indice registra un’espansione dell'attività economica, sotto 50 invece una contrazione. La diminuzione dell’attività industriale si è aggravata al ritmo più rapido in oltre tre anni, con l’indice sceso addirittura a quota 39,7, mentre la produzione del settore dei servizi è diminuita per la prima volta in otto mesi e nella misura maggiore da novembre 2022 con l’indice a 47,3 punti.

INDIETRO DI TRENT’ANNI
Mai numeri negativi sull’economia tedesca non finiscono qui. A luglio la competitività dell’industria metalmeccanica è scesa a -14,3 punti, il valore più basso dall’inizio delle rilevazioni condotte dall’istituto Ifo che sono partite nel lontano 1994. Secondo l’indagine, la mancanza di manodopera qualificata e la scarsità di materie prime cruciali hanno limitato la produzione nel 40% delle aziende intervistate. «La carenza di lavoratori qualificati rappresenta una sfida particolare per l’ingegneria meccanica», spiegano i ricercatori dell’Ifo, sottolineando che molti addetti nel manifatturiero sono anziani e i giovani raramente vogliono lavorare secondo turni spesso disagevoli, anche perché gli stabilimenti dei produttori di macchinari sono solitamente situati in zone rurali lontani dai grandi centri urbani. L’Ifo, tuttavia, ci tiene a segnalare che «è ancora troppo presto per parlare di deindustrializzazione».

 

 

 



MALE PURE L’EUROZONA
Naturalmente la grande frenata del Made in Germany, coinvolge tutta Eurolandia. Non a caso l’indice Hcob Pmi composito relativo all’Eurozona ad agosto ha fatto segnare 47, in calo rispetto ai 48,6 punti di luglio. In questi ultimi mesi il sistema produttivo tedesco sta pagando duramente anche l’interdipendenza con la Cina. Il gigante rosso frena e trascina nel gorgo anche Berlino. La Cina resta tuttora il primo partner commerciale della Germania, con un interscambio pari a 300 miliardi euro. L’8% dell’economia tedesca. Nel 2022 la Volkswagen ha realizzato il 40% delle vendite sul mercato cinese. Il governo del cancelliere Olaf Scholz è in difficoltà. L’alleanza rosso-verde su cui si regge non trova una linea comune per organizzare una exit strategy accettabile. Non a caso la Cosco, compagnia statale cinese, ha avuto il disco verde per rilevare lo scorso mese di giugno il 24,9% del porto di Amburgo, principale scalo marittimo tedesco. Anziché liberarsi dall’abbraccio di Pechino la Germania lo stringe di più. Ma ora Cyrus de la Rubia, capo economista di Hboc stima per Berlino un Pil a-1%.

 

 

 

 

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