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Tredicesima, un mito italiano: la storia di una tradizione nazionalpopolare

Francesco Specchia
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Arriva, arriva. Non c’è Natale senza tredicesima. La tredicesima è un atto cabalistico. La tredicesima è la vera ordalia barbarica, l’autentico giudizio di Dio. Viva, viva la tredicesima. La notizia è che quest’anno - come mi conferma il mio puntiglioso commercialista Mattia, ispirato da Confcommercio - ci saranno «a parità di stipendio, dei lavoratori che godranno di una tredicesima più alta». Bene. Ma quanto più alta? Chiedo io. «Le regole per il calcolo dell’importo lordo sono sempre le stesse: ciò significa che per ogni mese di lavoro si matura 1/12 di tredicesima, sulla quale si applicano imposte (senza detrazioni) e contributi», risponde lui. «La novità di quest’anno è che per alcuni dipendenti la quota di contributi sarà inferiore rispetto a quella versata nel 2022 (come pure rispetto al 2024)».

Mattia afferma inoltre che per una questione di imperscrutabili sgravi contributivi che io fingo di comprendere ci sarà «un risparmio di 19,23 euro (1% di 1.923 euro), con un aumento netto di circa 12 o 13 euro per molte categorie». «Ma tu non sei tra quelle...», tiene a specificare, dopo una pausa drammatica. Bene.

 

 

 

FASCINO LETTERARIO

Ora, nell’anno della tredicesima più alta (ma nel 2024 si abbasserà per uno strano meccanismo delle aliquote che simulo sempre di capire), il fascino della busta-paga erogata sotto l’albero e che lievita nel cuore dell’inverno, be’, resta comunque inalterato. Un fascino finanche letterario. Perché la tredicesima è ciò che ti consente di sopravvivere a queste maledette feste in cui un italiano su due viene spinto a dissanguare il proprio conto in banca per passare indenne dal gorgo dell’imbuto fiscale e dalla prepotenza di pacchi, pacchetti e pacchettini confezionati a forza, per dimostrare ai cari, almeno una volta all’anno, che si possiede, per quanto sdrucita, un’anima. Storicamente, la tredicesima è una misura di stampo ottocentesco: si connotava per il semplice carattere d’elargizione ai lavoratori. La tredicesima era «riconosciuta senza alcun vincolo di obbligatorietà, pagata in occasione delle festività», roba da Charles Dickens. In seguito- narra la giurisprudenza- «il contratto collettivo nazionale di lavoro del 5 agosto 1937, all’articolo 13, ha introdotto l’obbligo di corresponsione di una mensilità aggiuntiva rispetto alle 12 annuali agli impiegati dell’industria, e l’accordo interconfederale per l’industria del 27 ottobre 1946 ha esteso il trattamento, denominandolo gratifica natalizia, anche agli operai. Con il decreto del Presidente della Repubblica 1070 del 1960 è diventata obbligatoria per tutti i lavoratori dipendenti con contratto a tempo determinato e indeterminato». I lavoratori pubblici si ritrovano lo stipendio allargato sul conto corrente, in un pugno di giorni a seconda, appunto, delle categorie. «Le insegnanti delle scuole materne ed elementari la ricevono il 14 dicembre, il 15 dicembre arriva per il personale amministrato dalle direzioni provinciali del Tesoro con ruoli di spesa fissa; il 16 dicembre appare per il personale insegnante supplente temporaneo e per gli altri dipendenti pubblici». I lavoratori privati l’attendono, invece con ansia il 24 dicembre. La famosa inquietudine della vigila. Qualche volta, se vogliono, i datori di lavoro possono anticiparla. Ma non avviene mai.

 

 

 

La tredicesima rende la vera concezione finanziaria del Natale. Quest’anno, sotto la barba bianca di Santa Claus, s’intravvedono sempre le spoglie mortali del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Non è questione di venalità, eppure nelle tredicesima c’è poco di romantico. Perché ha ragione Fiorello in quel famoso spot che dissacrava il Natale, festa molto più pagana di quanto si pensi. Alla gente non interessano la neve, la bontà inalata come un aerosol, Jingle bells cantata dai cori di ragazzini entusiasti, le strette al cuore, e quella perenne, soffusa, atmosfera di fratellanza che t’immerge sempre ne La vita è meravigliosa di Frank Capra, con tanto di angeli che acquistano le ali al suono delle campane. No. Alla gente interessano i regali.

Soltanto i regali. E i regali, in questo mostruoso periodo dell’anno, significano tredicesima. La tredicesima di ognuno di noi è un pezzo di racconto della nazione. Potrei qui evocarla come la memoria estrema della mia infanzia medioborghese da famiglia monoreddito. Ricordo, a dicembre, i gesti affaticati e lo sguardo catalettico di mio padre, dipendente pubblico, come quelli di un milite confederato sul fortino degli adempimenti fiscali; a fine anno si ritrovava, senza più cartucce, assediato dalle bollette, dalla rata del mutuo e dell’automobile, dal costo della benzina che in quel decennio ti costringeva a surreali domeniche a piedi. Finché, all’improvviso, quel crepuscolo veniva illuminato dalla tredicesima. Pur dimezzata dalle tasse e rallentata dalla burocrazia, quando appariva in busta paga, la tredicesima riaccendeva lo sguardo di papà, compassato ufficiale dell’Esercito che perdeva per un attimo l’aplomb militaresco ed entrava in modalità spesa selvaggia.

 

DETTAGLIO PREZIOSO

La tredicesima è un dettaglio prezioso della nostra stessa storia. Spesso rivaluto il governo fascista, dopo aver scoperto che - come si diceva - fu il Duce ad aver resa obbligatoria, “erga omnes”, la “gratifica natalizia” prevista soltanto per le categorie industriali. Questa benedetta mensilità, oggi, pompa sangue nel corpaccione anemico delle mie finanze. Sarà il grande ciclo della vita, ma da quando tengo famiglia, le spese rappresentano il più inquietante dei Moloch, la costante del mio (del nostro) quotidiano. Tengo due mutui, uno per figlio. La pressione tributaria mi si innalza come il colesterolo, con l’accumulo tra stipendio e partita Iva e casse di previdenza, arrivando a un sussurrato 70%, Dio li stramaledica. I bolli e le assicurazioni delle auto s’infiammano in un unico rogo con le spese della baby sitter, delle ripetizioni di matematica, del calcio e del nuoto, degli insegnanti di musica. Certe volte, lo confesso, per pura avarizia spacciata per senso del risparmio, ho sequestrato mia suocera per piazzarla di picchetto a quelle belve dei miei figli, profondendomi in promesse- «nonna, ti rado l’erba del giardino, ti porto dal medico, ti accompagno al conservatorio» - che non manterrò mai. Inoltre, l’assistenza sanitaria è diventata costosa quanto quella del commercialista che, giustamente, mi stalkerizza, per tornare a bomba. E la casa s’è ampliata assieme al canone di riscaldamento, a quello telefonico e del giardiniere che ora però ho tagliato insieme alle mie rose. “Buon Natale”, augurato oggi, sa della peggiore delle ipocrisie. E la tredicesima è ancora l’unica cosa che mi (ci) fa stirare i sorrisi sotto l’albero... 

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