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Mes, la frase di Giorgia Meloni che spiega tutto: "Dopo il 9 giugno"

Fausto Carioti
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La sinistra che ieri mattina accusava il governo e la premier di aver capitolato dinanzi all’asse franco-tedesco (titolo di prima pagina di Repubblica: «Patto Ue, la resa di Meloni»), all’ora di pranzo, quando la ratifica della nuova versione del fondo salva-Stati è stata bocciata nell’aula della Camera, li incolpa del crimine opposto: essere nemici della Ue ed avere «un europeismo di facciata» (Elly Schlein). Intanto Giuseppe Conte vota contro la stessa intesa che quando era premier fece sottoscrivere all’ambasciatore Maurizio Massari. Mentre il Pd, che sogna di governare un giorno insieme ai Cinque Stelle, vota all’opposto di loro, in favore della nuova versione del Mes. Lo sfascio e l’incoerenza dell’opposizione sono tali che Giorgia Meloni riesce a superare senza affanni quello che nelle aspettative dei suoi avversari avrebbe dovuto essere l’appuntamento parlamentare per lei più difficile. A decidere, stavolta, non è stata solo la presidente del consiglio. Un ruolo fondamentale l’ha avuto la leader dei Fratelli d’Italia: è lei che ha voluto accelerare i tempi. Quando ancora governava Mario Draghi, disse che lei e il suo partito erano «pronti a respingere con tutte le forze questo tentativo di riforma di un trattato che non fa gli interessi dell’Italia». La vittoria elettorale e il trasloco a palazzo Chigi non le hanno fatto cambiare idea, chi vuole accusarla d’incoerenza dovrà trovare altri argomenti.

A decidere tutto, peraltro, è stata la Camera. L’esecutivo ha fatto da spettatore, Giancarlo Giorgetti e gli altri ministri nemmeno erano presenti in aula. Non a caso, da palazzo Chigi hanno subito fatto sapere che il governo, «che si era rimesso al parlamento, prende atto del voto dell’aula di Montecitorio», giudicato «di relativo interesse e attualità per l’Italia», visto che il nuovo fondo salva-Stati sarebbe innanzitutto un fondo salva-banche, e gli istituti di credito nazionali sono solidi e non abbisognano di altre reti di sicurezza. L’accordo del giorno prima sulla riforma dell’altro grande trattato europeo, il patto di Stabilità (quello in cui si decidono i margini di deficit e debito pubblico), ha reso tutto più facile. Da quella partita, infatti, l’Italia è uscita con un buon compromesso, ma nessun regalo. E l’assenza di cambiali politiche da onorare consente alla premier e ai suoi di tenersi fuori e lasciare ampia libertà ai partiti della maggioranza.

 

 

Vale anche nei confronti del Quirinale: che Sergio Mattarella fosse a favore della ratifica dell’accordo è facile immaginarlo, ma non ne hai mai parlato e pure ieri, dinanzi al voto della Camera, ha scelto di non commentare. E certo che ci sono stati anche calcoli elettorali. Al pari dei partiti d’opposizione (e di quelli di tutti gli altri Stati Ue), le sigle del centrodestra ragionano in vista delle elezioni europee. Ognuna ha fatto la propria parte. Era scontato che la Lega di Matteo Salvini, su posizioni fortemente eurocritiche, votasse contro la ratifica della riforma del Mes; il gruppo di Fdi, contribuendo a bocciare il provvedimento, non solo si è mostrato coerente, ma ha evitato di scoprire il fianco destro alla concorrenza della Lega durante i prossimi mesi di campagna elettorale. Quanto a Forza Italia, che è la componente europeista della maggioranza, astenendosi ha mostrato di essere diversa dai suoi alleati, senza però contrapporsi a loro, a differenza di quanto hanno fatto Pd e Cinque Stelle.

 

 

IL «SOGNO EUROPEO»
È chiaro pure che non finisce qui. Lo fanno capire anche da palazzo Chigi, quando, dopo aver ricordato che il Mes resta valido «nella sua configurazione originaria, ossia di sostegno agli Stati in difficoltà finanziaria», avvertono che la scelta di ieri «può essere l’occasione per avviare una riflessione in sede europea su nuove ed eventuali modifiche al trattato, più utili all’intera Eurozona». Se ne riparlerà, insomma. Probabilmente dopo il voto. A questo proposito, merita di essere evidenziata una frase detta domenica da Meloni ad Atreju, passata inosservata: «Ai giornalisti che si affannano a ragionare sulle maggioranze che si formeranno a Bruxelles dopo il 9 giugno, io dico che chi vota Fratelli d’Italia non lo fa per cervellotiche elucubrazioni tattiche. Lo fa innanzitutto per appartenenza nazionale, ma anche per appartenenza al sogno europeo, del quale noi ci nutriamo dal secolo scorso». La premessa ideale per entrare a far parte della prossima maggioranza che governerà l’Unione. E una volta lì, magari con un commissario europeo scelto da Fdi, lavorare per modificare il Mes da una posizione più forte di quella di oggi. 

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