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Sull'intelligenza artificiale si giocherà il futuro dei mercati finanziari

Bruno Villois
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Il fervore con cui Wall Street ha accolto i risultati del quarto trimestre di Meta, già Facebook, ha quasi dell’incredibile, dopo la sonora bocciature di Google e il tiepido entusiasmo per Microsoft, che in verità è regina assoluta della capitalizzazione di borsa insieme a Apple, ben altra sorte è stata riservata al gioiello di Zuckerberg. In verità sembra che gli analisti internazionali vedano solo l’intelligenza artificiale come la nuova gallina dalle uova d’oro.

E il risultato di Meta ne è chiara conferma. Il più grande mercato finanziario del globo, la cui capitalizzazione è pari a circa il 70% sul totale delle borse mondiali, con l’Europa che si avvicina al 15% e la Cina che sta sotto il 5%, resta vincolato al corso dell’inflazione e addendi, occupazione, materie prime, energia, in attesa delle decisioni che le due maggiori banche centrali del globo, Fed e Bce, prenderanno sui tassi e sulla loro discesa. Negli Usa siamo agli sgoccioli delle presentazioni delle trimestrali, in Europa all’inizio. Da noi a tagliare il nastro della partenza sarà Unicredit, subito seguita dall’altro top bancario, Intesa, e dal terzo, Banco Bpm. I loro risultati e la guidance che prospetteranno sul 2024, saranno fondamentali per Piazza Affari.

Il brillante corso borsistico italiano del 2023 ha avuto proprio nel settore bancario il suo primo rifermento, mentre gli altri settori che raccolgono le aziende più piccole, dopo essere stati in altalena negli ultimi anni, hanno avuto una crescita ben inferiore al 5%, ovvero quasi un sesto del Ftse. Purtroppo da oltre un lustro, a innescare balzi o scivoloni di ogni titolo quotato hanno contribuito in maniera determinante gli algoritmi, parenti stretti dell’intelligenza artificiale, mentre i fondamentali, basati sui dati concreti e non di prospettiva, sono stati quasi accantonati nelle valutazioni delle società. A determinare i valori delle imprese sono ormai quasi esclusivamente le prospettive di crescita, sempre meno suffragate da dati industriali e finanziari concreti. Non è un caso che negli Usa le sette sorelle dell’innovation technology superino i 12 trilioni di dollari e le sole Microsoft e Apple distribuiscano dividendi, seppur infinitesimali in rapporto al valore di Borsa, in rapporto alle percentuali che distribuiscono i titoli industriali tradizionali come J&J, Exon, Procter & Gamble e tanti altri. A fronte di queste considerazioni c’è da domandarsi se vi possa essere un limite alla crescita dei valori di Borsa e soprattutto se possano scoppiare bolle speculative animate dai fondi speculativi i quali basandosi sui derivati e operando allo scoperto potrebbero decidere di puntare al ribasso facendo una barca di quattrini ma mandando a gambe all’aria un’enorme quantità di piccoli investitori che ispirano ogni loro scelta ai fattori di prospettiva e non a quelli consolidati. Siamo già entrati nell’era della finanza artificiale. I mercati ne sono consapevoli e si preparano a vivere una svolta epocale. Saranno gli algoritmi a decidere le sorti della finanza. Con tutto quello che di bene e di male può comportare questo cambiamento. 

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