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Inflazione Usa, mercati impazziti: ecco su cosa puntano ora gli investitori

Attilio Barbieri
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Il rimbalzo dell’inflazione Usa, risalita a marzo al 3,5% dal 3,2% di febbraio ha spento le luci ai mercati finanziari. Cedenti le Borse europee che hanno recuperato parzialmente nelle battute finali, riducendo o azzerando perdite arrivate quasi al punto percentuale. Milano ha chiuso in guadagno dello 0,28%, Francoforte con un frazionale +0,11% mentre Parigi ha finito le contrattazioni in flessione dello 0,05%. Ma gli effetti della fiammata inflazionistica negli Stati Uniti si sono fatti sentire anche sul reddito fisso. 

I grandi investitori stanno vendendo titoli del Tesoro statunitensi per acquistare titoli di Stato europei: dietro a questi movimenti c’è la scommessa che un’inflazione più bassa nel Vecchio Continente possa consentire alla Bce di iniziare a tagliare i tassi di interesse prima della Federal Reserve. Così scrive il Financial Times, secondo il quale, nelle ultime settimane i gestori finanziari di Pimco, JpMorgan Asset Management e T Rowe Price hanno tutti aumentato la loro esposizione sul debito pubblico europeo. E ciò ha contribuito a spingere il differenziale tra i costi di finanziamento tedeschi e statunitensi a 10 annidi riferimento a 2 punti percentuali, vicino al livello più alto dallo scorso novembre.

«Il percorso per il taglio dei tassi in Europa è più chiaro che negli Stati Uniti», afferma Bob Michele, responsabile globale del reddito fisso a JpMorgan Asset Management. «È difficile trovare una ragione economica che spinga la Fed a tagliare i tassi». E questo, secondo il gestore americano, ha spinto gli investitori a fare il pieno di titoli di stato europei. Un travaso che è in pieno svolgimento e promette di accelerare ulteriormente, qualora diventassero ancora più chiari i segnali di un imminente taglio dei tassi, il primo, da parte della Banca centrale europea.

I trader oramai scommettono soltanto su due tagli ai tassi applicati dalla Fed entro la fine dell’anno, rispetto ai tre tagli previsti fino al mese scorso. Mentre Francoforte, salvo sorprese, dovrebbe tagliare tre volte da qui a dicembre. Intanto i numeri del carovita spingono al ribasso anche i bond, con il rendimento dei Treasury americani che si è impennato ieri di 14 punti base fino a superare la soglia psicologica del 4,5%. Rendimenti in rialzo anche nell'Eurozona con il Btp decennale che ha segnato ieri un’ultima posizione al 3,76%, dal 3,71% del riferimento di martedì. Con il differenziale fra tra il Btp decennale benchmark e il Bund tedesco pari scadenza che ha chiuso a 134 punti, esattamente il livello del giorno precedente.

 

A preoccupare gli analisti e innescare i movimenti sui bond governativi, è l’andamento dell’inflazione “core” negli States. Anche escludendo le voci più volatili, alimentari ed energia, da febbraio a marzo i prezzi sono cresciuti dello 0,4%. Un balzo identico a quello del mese precedente, che fa salire i prezzi chiave del 3,8% in ragione d’anno. Ed è a questo dato che guarda la Federal Reserve per decidere se procedere con il primo taglio al costo del denaro o rinviarlo ben oltre giugno, com’era invece previsto all’inizio dell’anno.

I verbali diffusi ieri relativi all’ultimo incontro del Federal open market committee (Fomc), l’organismo della Federal Reserve responsabile della politica monetaria degli Stati Uniti, confermano la massima cautela. Nella riunione del 20 marzo il Fomc decise di mantenere i tassi d’interesse al 5,25%-5,50%, livello a cui sono stati portati nel luglio dello scorso anno, il più alto dal 2001. I banchieri centrali Usa hanno ribadito che i tassi sono destinati a restare alti, qualora i progressi sull’inflazione si dovessero fermare. Proprio lo scenario che si sta verificando.

 

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