Università, il futuro è online: solo in Italia si guarda indietro
Finita la pandemia la didattica online, considerata all’epoca una manna dal cielo, è stata rimessa nel cassetto. E chi ci punta da anni, sviluppando metodologie innovative d’insegnamento in linea con le necessità del mondo del lavoro e garantendo un’istruzione flessibile e più accessibile è finito in un batter d’occhio nella lista dei cattivi. Dietro il duello che si è aperto tra le università tradizionali e quelle telematiche ci sono tutte le malattie croniche del nostro Paese: la diffidenza verso il privato, il pregiudizio nei confronti di chi fa profitti, un’antica propensione al dirigismo e un’insopprimibile idiosincrasia con la concorrenza. A cui si aggiunge la paura del mondo accademico di perdere un’egemonia conquistata negli anni e forse anche qualche poltrona. Insomma, nulla che giustifichi una battaglia contro un settore che non solo non toglie niente a nessuno, ma aggiunge opportunità e prospettive di crescita per l’offerta didattica e formativa del Paese.
EINAUDI E STURZO
A demolire punto per punto le accuse ad un sistema che trova la sua ragion d’essere nelle critiche fatte appena 70 anni fa da Luigi Einaudi e Luigi Sturzo al monopolio culturale della scuola di Stato e al valore legale dei titoli di studio, ci hanno pensato Marco Bassani, professore ordinario Università Pegaso e Carlo Lottieri, professore associato Università di Verona, in un paper dell’Istituto Bruno Leoni “Università tradizionali e telematiche. Perché una guerra non ha senso” presentato ieri a Montecitorio, con gli interventi, fra gli altri, Alessandro De Nicola, Edoardo Ziello, Marco Perissa, Valeria Fedeli e Luciano Capone. «Contrastare soluzioni didattiche innovative sarebbe irresponsabile: è essenziale, invece, premiare il valore e la competenza, anziché limitarsi a favorire un'unica modalità di insegnamento», spiega Lottieri, secondo cui «il mondo universitario e iper-regolato vive in una sorta di bolla, non rendendosi conto che fuori cìè una realtà diversa che preme e che sta crescendo in maniera rilevante». I numeri dicono che l’Italia ha il numero più basso di laureati in Europa dopo la Romania e che c’è sempre più bisogno di formazione post universitaria. Due fattori su cui le università telematiche, grazie alla flessibilità dell’offerta didattica, sono strutturatissime. «Con le lezioni on line asincrone (non in streaming, ndr) che possono essere seguite ovunque e in ogni momento», dice Lottieri, «si allarga la platea degli studenti che vogliono conseguire una laurea e si favorisce la formazione permanente di chi già lavora».
Ecco chi ha paura delle università telematiche: passato e futuro accademico
Quanto alla qualità dell’insegnamento, aggiunge il professore, «da una parte bisogna smetterla con l’idea che tutto debba essere di altissima qualità, è un concetto che non è compatibile con la realtà e che svantaggia moltissimi giovani, come se pretendessimo che tutti facessero il liceo classico». Dall’altra, prosegue, «c’è una scarsa conoscenza di come funziona la didattica online, che proprio grazie alla sua natura obbliga i docenti ad una disciplina e ad una attenzione che non ha eguali nel mondo delle università tradizionali, dove può anche capitare che le lezioni vengano improvvisate al momento». E se qualcuno gli tira fuori la questione dei profitti, Lottieri ha pochi dubbi: «Il profitto è ciò che muove l’imprenditore dall’istruzione di Stato».