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Carlo De Benedetti dà lezioni ma la sua cassaforte piange

Sandro Iacometti
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E niente, di occuparsi dei suoi traballanti affari Carlo De Benedetti non vuole proprio saperne. Meglio puntare il dito su quelli, decisamente più in salute, degli altri. Ieri il quotidiano controllato dall’Ingegnere, il Domani, ha continuato ad accanirsi contro il gruppo della famiglia Angelucci, che tra le altre cose edita Libero, Il Giornale e Il Tempo. L’accusa, un po’ paradossale per chi ha la tessera numero uno del Pd e per anni ha egemonizzato il dibattito a sinistra con la sua Repubblica, è sempre la stessa: troppa vicinanza con i Palazzi. Odio politico? Antipatia personale? In realtà, il sentimento che più verosimilmente anima l’astio dell’Ingegnere potrebbe essere la frustrazione. I motivi non mancano davvero. Non solo la parabola discendente degli affari da quando, nel 2012, ha trasferito nelle mani dei figli, sotto forma di donazione, l’impero controllato da Cir, ma anche la rabbia per non essersi riuscito a riprendere la sua creatura. Tentativo che fu respinto con perdite non da qualche spregiudicato imprenditore, bensì dai suoi stessi figli.

La circostanza risale al 2019. A metà ottobre De Benedetti presenta un’offerta alla Cir Spa, cioè la holding di famiglia di cui ha ceduto le quote, un’offerta di acquisto cash del 29,9% delle azioni di Gedi Spa, cioè il gruppo editoriale Espresso. L’offerta – presentata attraverso Romed, che controlla al 99% – è basata sul prezzo dei titoli di quel periodo, e cioè euro 0,25 ad azione: in tutto 38 milioni di euro. Il fatto che la cifra non preveda alcun premio più che una scelta è frutto della necessità. La sua cassaforte Romed ha chiuso i conti del 2018 con un rosso di 25,7 milioni. Una perdita rotonda che è stata coperta attingendo alla riserva di utili portati a nuovo e che ha ridotto il patrimonio netto da 163 a 137 milioni di euro. Ma a fare la differenza, come scriveva all’epoca il Sole 24 Ore, sono le disponibilità liquide, che a fine 2018 ammontavano a circa 17 milioni, una somma che vale poco meno della metà dell’impegno previsto su® Gedi,ei debiti. In proposito, a fine 2018 Romed ha iscritto a bilancio debiti verso banche per un totale di 103 milioni di euro. Si tratta, come è scritto nella nota a commento dei conti, di linee di credito a revoca che, in assenza di scadenza prestabilita, sono inserite tra i finanziamenti con scadenza a 12 mesi. Di questi circa 66 milioni sono garantiti da titoli azionari costituiti in pegno. Il che fa capire che di quei 103 milioni i denari “liberi” sono sostanzialmente circa 37 milioni, la cifra di fatto messa sul piatto per provare a conquistare il 29,9% del gruppo Gedi.

 

Intendiamoci, l’obiettivo dell’ingegnere è nobile: risanare l’azienda e «assicurare un futuro di indipendenza a un pezzo di storia italiana». Ma i figli, a quanto pare, la pensano diversamente. La holding, che fa capo ai tre figli dell’Ingegnere (Rodolfo, Marco ed Edoardo) ha diffuso una nota per rifiutare l’offerta: «Con riferimento alla comunicazione diffusa in data odierna dall’Ing. Carlo De Benedetti, relativa all’offerta non sollecitata né concordata da egli presentata, Cir rende noto di ritenere detta offerta manifestamente irricevibile in quanto del tutto inadeguata a riconoscere a Cir spa e agli azionisti il reale valore della partecipazione e ad assicurare prospettive sostenibili di lungo termine alla Gedi». Analisi difficile da contestare, visto che nel dicembre dello stesso anno si chiude la vendita ad Exor per 102 milioni (anche se sull’intera quota del 43%). Ma ancora più dure, e personali, sono le parole del primogenito dell’Ingegnere, Rodolfo: «Sono profondamente amareggiato e sconcertato dall’iniziativa non sollecitata nè concordata presa da mio padre e il cui unico risultato consiste nel creare un’inutile distrazione, della quale certo non si sentiva il bisogno». Insomma, partita chiusa con tanto di dramma familiare. Mortificato e deluso, è allora probabilmente che all’ingegnere viene in mente di farsi il suo giornalino personale. Nel 2020, sempre attraverso i soldi della Romed, nasce l’Editoriale Domani.

 

E qui accade una cosa che la dice lunga sulla voglia di “indipendenza” e sulla faccia tosta dell’Ingegnere quando alza il ditino contro gli Angelucci. Volete sapere chi è il presidente del consiglio di amministrazione? Luigi Zanda, senatore (all’epoca) nonché tesoriere del Pd. Decisione, quella di Zanda, che ha provocato non pochi malumori nel partito. Al punto che dopo essersi dimesso da tesoriere, nell’ottobre del 2020 l’esponente piddino si dimette pure dal Domani, dopo appena un mese dalla nascita del quotidiano: «Ho compreso di trovarmi in una posizione di conflitto di interessi politico-editoriale che, per mio costume e per mia profonda convinzione non posso sottovalutare». Per la cronaca oggi a guidare l’Editoriale Domani c’è Antonio Campo Dell’Orto, manager coccolato da Matteo Renzi negli anni in cui è stato a Palazzo Chigi prima con la nomina a consigliere di Poste e poi, nel 2015, con quella di direttore generale della Rai.

SOCIETÀ IN CRISI
Agganci politici o no, la nuova vita imprenditoriale dell’ingegnere non è proprio costellata di successi. Il Domani ha chiuso il bilancio con una perdita di circa 3,5 milioni. Cosa che non preoccuperebbe più di tanto, visto il cattivo stato di salute di tutta l’editoria. Il problema è che a tirare il freno a mano è anche la holding che racchiude oggi tutte le attività economiche di Carlo De Benedetti. La Romed ha infatti chiuso il bilancio 2022, depositato alla fine del 2023, con perdite per ben 43,9 milioni, che si aggiungono ai 31,4 milioni persi l’anno precedente. Nel suo processo di ammortizzamento delle spese la società ha dovuto svalutare per 18 milioni di euro tutte le partecipate del piccolo gruppo restato dopo la separazione dai figli. In questa operazione rientra anche l’Editoriale Domani spa, che ha subito una svalutazione di 7,6 milioni di euro.

Situazione non diversa anche per quanto riguarda la holding di partecipazioni Per spa. A queste poi si aggiungono i numerosi investimenti fatti per il settore bio medico (da Betaglue Technologies spa a Twh Hypertension 3 spa e Twh Eye srl), i quali sono ancora in fase di avvio e finora hanno portato più costi che guadagni. Il risultato è un’azienda che, secondo il Cerved, ha un indice di solvibilità basso, un gradino sopra il “rischio moderato”, e indicatori tutt’altro che incoraggianti. Variazione dell’attivo è negativa del 10%, la variazione della attività finanziarie è in calo del 3,5%, quella del patrimonio netto segna -38% mentre l’indice di redditività Roe è precipitato del 47%. Quanto al risultato di esercizio, di cui abbiamo già parlato, la discesa nel 2022 rispetto all’anno precedente è stata del 40%. Ma questa in fondo è una delle poche buone notizie: la discesa nel 2021 è stata del 249%.

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