La notizia secca, quella su cui il circo politico-mediatico della sinistra oggi si avventerà, è che per colpa dei dazi e dell’incertezza globale la Ue ha tagliato le stime sul Pil dell’Italia. Tutto vero. Nelle previsioni di primavera la Commissione ha stabilito che la crescita del nostro Paese si attesterà allo 0,7%, in calo di 0,3 punti percentuali rispetto alle scorse stime autunnali dell'1%.
Stesso discorso per il prossimo anno, quando è attesto allo 0,9% rispetto al precedente 1,2%. Allargando un pochino lo sguardo e togliendosi le lenti decliniste dal naso, si può però scoprire che nel documento di Bruxelles c’è molto di più di una limatina al Pil, che peraltro riguarda tutta l’Eurozona, la cui crescita media è ora prevista a +0,9% invece che all’1,3%.
Intanto ci sono i conti pubblici. La Ue riconosce e conferma il percorso virtuoso compiuto dal nostro Paese sotto la gestione del ministro Giancarlo Giorgetti (recente premiato anche dal mercato, con l’aumento del rating da parte di S&P e la discesa dello spread sotto i 100 punti per la prima volta dal 2021): il deficit è infatti stimato in discesa al 3,3% quest’anno e al 2,9% il prossimo. Il che significa che nel 2026 l’Italia tornerà a rispettare uno dei parametri base del Patto di stabilità. Meno bene vanno le cose sull’altro pilastro delle regole Ue.
La Commissione Europa prevede infatti un incremento del debito dal 135,3% del Pil nel 2024 al 136,7% nel 2025, fino a toccare il 138,2% nel 2026. Passo falso del titolare dell’Economia? Non esattamente. Bruxelles infatti mette nero su bianco quello che i grillini (e anche il Pd) continuano a negare: ovvero che gli effetti devastanti del Superbonus continueranno a pesare a lungo sui nostri conti. La crescita del rosso è infatti dovuta, spiega il rapporto della Commissione, all’impatto ritardato dei crediti d’imposta legati alle agevolazioni edilizie che fino al 2023 sono stati contabilizzati nel deficit. Insomma, malgrado il ritorno nel 2024 dell’avanzo primario (saldo tra entrate e uscite al netto della spesa degli interessi) e il calo del deficit, le ristrutturazione gratuite promesse ed elargite dai Cinquestelle grazie anche alle proiezioni sballate del sindaco piddino di Roma, Roberto Gualtieri, che all’epoca era ministro dell’economia, continueranno ad azzoppare il nostro bilancio pubblico per non si sa bene quanti anni.
Ma nel rapporto, come si diceva, non ci sono solo cattive notizie. Anzi. C’è la disoccupazione, ad esempio, che dovrebbe registrare un calo significativo, passando dal 6,5% dello scorso anno al 5,9% del 2025, livello ben più basso del 6,3% stimato per l’Eurozona. Altro indicatore di cui non essere affatto scontenti è il carovita. Avete presente la tassa sui poveri, l’aumento dei prezzi che non ci consente di arrivare a fine mese e che affama gli italiani? Ebbene, il tasso di inflazione stimato dalla Ue si attesta all’1,8% nel 2025 e all’1,5% il prossimo anno.
Nello stesso periodo nell’Eurozona l’indice sarà rispettivamente al 2,1 e all’1,7%. E arriviamo, infine, alla crescita. Non che i confronti possano migliorare la nostra condizione, intendiamoci. Ma se le principali economie del Vecchio continente, quelle che hanno sempre trainato l’Europa, non riescono ad ingranare la marcia non significa soltanto che la contrazione è generalizzata e che possiamo consolarci col più classico dei proverbi secondo cui il mal comune è un mezzo piacere. Significa piuttosto che in un sistema commerciale interconnesso come la Ue le frenate dei Paesi con cui abbiamo i principali rapporti di import ed export impattano inevitabilmente sul nostro stato di salute e che riuscire a tenere botta è un buon segnale. È in quest’ottica che vanno guardati gli indicatori di Francia e Germania.
Nel primo caso Bruxelles prevede una crescita dello 0,6% quest’anno e un rimbalzo dell’1,3% nel 2026 (con un tasso di disoccupazione che viaggia poco sotto l’8%).
Ancora peggio è messa la Germania, che quest’anno, dopo due anni consecutivi di flessione, resterà completamente ferma (crescita zero) e vedrà un +1,1% nel 2026. In sintesi, tra due anni potremmo trovarci di nuovo al traino, ma per ora l’Italia sembra in grado di riuscire a correre più dei colossi Ue.
Notizie non drammatiche arrivano anche da Confindustria. Il Centro studi mette in guardia sul calo della fiducia dovuto all’incertezza legata ai dazi, ma ammette anche che a marzo la produzione è aumentata (+0,1%), chiudendo il primo trimestre in recupero (+0,4%), dopo 5 trimestri in calo, che la crescita dell’occupazione sta rafforzando il reddito reale delle famiglie e che, alla fine, non tutto il male viene per nuocere. Il calo delle aspettative sta infatti facendo calare i prezzi dell’energia, spianando la strada a ulteriori tagli dei tassi Bce che potrebbero stimolare la ripartenza. Vedremo.